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Valerie Solanas, oltre l’attentato a Andy Warhol: una scrittrice da rivalutare

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Il 30 aprile 1988 il corpo di Valerie Solanas viene trovato senza vita nel suo piccolo monolocale al Bristol Hotel di San Francisco. Secondo quanto riportato nel rapporto della polizia, la scrittrice – morta qualche giorno prima del ritrovamento a causa di una polmonite – era inginocchiata accanto al letto ricoperta di vermi; nella stanza, pulita e rassettata, pile ordinate di manoscritti sulla scrivania.

D’altronde, i suoi ultimi anni di vita erano stati vissuti in completa ombra, in solitudine e povertà, spesso da senzatetto. L’unico oggetto personale che aveva sempre con sé era una macchina da scrivere. Valerie Solanas aveva dedicato la sua vita alla scrittura ed è da qui che bisogna partire per rivalutare questa figura controversa, aliena, abietta, ma al contempo ricca se analizzata oltre la sua reputazione di folle estremista del femminismo.

L’impopolarità di Valerie Solanas

Una fama dovuta in primo luogo alla sua opera più famosa, lo SCUM Manifesto – pungente trattato politico contro la società patriarcale -, e soprattutto al tentato assassinio di Andy Warhol, che nel 1968 le dà la notorietà mediatica e l’etichetta con cui ancora oggi molti la identificano.

Tale misconoscimento è inoltre dovuto al suo vivere di espedienti fatto di vagabondaggio, elemosina e prostituzione; al suo posizionamento scomodo nell’ambiente queer maschile della Factory, oltre che alla patologizzazione psichiatrica in seguito allo sparo, fattore che la emarginò definitivamente dall’ambiente controculturale dell’epoca. A Valerie fu infatti diagnostica la schizofrenia paranoide e, dopo aver scontato la condanna per tentato omicidio, continuò a perseguitare Warhol finendo per essere ricoverata in ospedali psichiatrici svariate volte.

Al di là della reiezione rispetto alla vita dell’autrice, non di poco conto è anche la radicalità dei suoi scritti, di cui lo SCUM Manifesto è l’esempio più vivido e iconico. Il linguaggio vivace e sarcastico, quasi grottesco, unito alle estreme critiche verso la cultura patriarcale, alla famiglia, al matrimonio e all’organizzazione economica della società, sono punti cardine di tutte le sue opere, il già citato trattato SCUM Manifesto, l’opera teatrale Up Your Ass e il racconto autobiografico A Young Girl’s Primer on How to Attain to the Leisure Class.

È evidente, comunque, che per parlare della scrittura di Valerie Solanas sia imprescindibile rapportarsi alla sua vita. La sua, difatti, è la storia di una progressiva disassimilazione sociale che converge nei suoi momenti principali con la radicalizzazione politica. Per lei scrivere significa dare voce al suo trascorso e rendere la sua esistenza un atto politico.

Le origini di Valerie Solanas e l’approdo a New York

Valerie Jean Solanas nacque nel 1936 a Ventnor City, New Jersey. La sua fu un’infanzia tumultuosa: fu vittima di abusi sessuali da parte di suo padre; i suoi genitori si separarono quando lei aveva quattro anni e sua madre si risposò poco dopo; aveva atteggiamenti violenti a scuola; visse per un periodo con i nonni materni fino a quando – all’età di quindici anni – lasciò la casa di questi ultimi per vivere in strada. Durante questo periodo partorì la prima figlia, Linda, cresciuta dalla madre di Valerie come sua; in seguito, nel 1953, affrontò una seconda gravidanza da cui nacque David, che venne poi dato in adozione.

Nonostante ciò, si diplomò brillantemente e proseguì i suoi studi conseguendo una laurea in psicologia presso l’University of Maryland, College Park; successivamente frequentò e lavorò alla Graduate School of Psychology dell’University of Minnesota, ebbe una breve parentesi a Berkeley e infine, nel 1962, si trasferì a New York, dove iniziò a dedicarsi alla scrittura in pianta stabile.

Si stabilì a Manhattan e per i successivi tre anni si sostenne attraverso l’accattonaggio e la prostituzione. Intanto, scrisse e visse a contatto con gli ambienti controculturali in erba del Greenwich Village, luogo in cui germogliavano anche le prime tracce della comunità queer.

Dall’Hotel Earle al famigerato Chelsea Hotel, in una lotta quasi costante per sbarcare il lunario e per nutrirsi; Valerie divenne una professionista nello scroccare sigarette, nel convincere gli altri a comprarle un pasto e nel vendere conversazioni. È in questo periodo che, sempre accompagnata dalla sua macchina da scrivere, lavorò alle sue tre opere principali.

Tra Scum Manifesto e Up Your Ass: alla ricerca di produttori

Stabilitasi nei circoli controculturali newyorkesi, alla metà degli anni ’60 Valerie Solanas raggiunse a pieno titolo la fama locale come giovane scrittrice, drammaturga e provocatrice. Il 1967 è un anno fondamentale per la storia dell’autrice. Prima autoprodusse lo SCUM Manifesto e successivamente firmò un contratto con Maurice Girodias, capo della casa editrice Olympia Press, cedendogli i diritti delle sue opere in cambio di 500 dollari.

Durante lo stesso periodo, venne invitata all’Alan Burke Show, talk show conservatore, per essere intervistata in quanto apertamente lesbica; tuttavia l’episodio in questione non fu mai mandato in onda poiché durante le riprese la scrittrice si fece cacciare dallo studio dopo essere stata continuamente provocata e derisa dal presentatore.

Nello stesso anno, Solanas continuò a promuovere Up Your Ass attraverso le radio locali e la stampa underground. L’intento era di trovare attori e soprattutto qualcuno che lo producesse, pubblicità che già da qualche anno faceva distribuendo volantini e poster al Chelsea Hotel. Gli sforzi di Valerie nel trovare un produttore la portarono alla Factory, dove incontrò Andy Warhol. A cui propose di produrre il suo dramma.

L’artista, intrigato dal titolo, accettò di visionarlo ma in seguito lo scartò ritenendolo troppo pornografico; quando Valerie lo contattò insistentemente per avere notizie, le fu detto che era andato perduto. Come compensazione, ricevette un ruolo nel film I, a Man, in cui interpreta una delle donne che interagiscono col protagonista, ed entrò stabilmente nella cerchia della Factory, pur non essendo ben vista dagli altri frequentatori all’infuori di Warhol.

L’attentato ad Andy Warhol

Nonostante ciò, però, la paranoia cresceva in Valerie. In particolare per quanto riguarda il modo in cui gli altri avrebbero potenzialmente abusato dei suoi scritti; al punto da credere in una cospirazione dietro la mancata restituzione della sceneggiatura di Up Your Ass da parte di Warhol, che lei sospettava si stesse coordinando con Girodias per rubare il suo lavoro. Vari tentativi furono fatti da parte della scrittrice per convincerli a rinunciare al loro controllo sui suoi scritti, ma senza successo.

Questo la portò, il 3 giugno 1968, ad attentare alla vita di Andy Warhol: armata di una pistola .32 Beretta, Valerie si recò alla Factory; qui sparò tre colpi al pop artist, di cui solo l’ultimo andò a segno, per poi fare fuoco sul critico d’arte Mario Amaya e tentare lo stesso sul manager Fred Hughes fallendo. Più tardi quel giorno, Solanas si consegnò alla polizia e confessò la sparatoria, affermando che Warhol aveva troppo controllo sulla sua vita.

L’intera vicenda, insieme ai primi anni a New York, sono anche ben raccontanti dal film I Shot Andy Warhol (1996) diretto da Mary Harron.

Rivalutare la figura di Valerie Solanas

Cambiare l’opinione pubblica su Valerie Solanas non è di certo semplice, seppur negli ultimi tempi vari studi e tentativi siano stati fatti per invertire la corrente, in particolare la raccolta Trilogia SCUM a cura di Stefania Arcara e Deborah Ardilli.

Indubbiamente la biografia dell’autrice rende ciò ancora più difficoltoso, rea di aver traumatizzato e quasi ucciso una delle personalità più iconiche degli anni ’60 oltre che uno degli artisti più influenti del XX secolo. Per farlo, però, c’è da guardare oltre il mero fatto di storia personale; andare oltre i misconoscimenti dati dalle plurime manipolazioni che le opere dell’autrice hanno subito.

Bisogna ripartire dalla sua scrittura e da come lei intendeva la sua parola: estrema, violenta, sarcastica, ma non concreta. Il suo obiettivo non fu realmente eliminare il genere maschile o proporre un completo sovvertimento della società tutta al femminile; bensì il proposito era di educare e rivoluzionare il modo di opporsi ad un mondo che mette in disparte chi è fuori dall’eteropatriarcato attraverso la radicalità dei suoi scritti. Un intento che è sicuramente utile per la situazione contemporanea, in cui anche i social hanno un problema col corpo femminile.

Lei, più di chiunque altro, da emarginata e abietta, sapeva cosa significasse vivere al di fuori della collettività. Se lei non poteva emergerne (per obbligo o per scelta), quantomeno può fornire gli strumenti per dare ad altri la possibilità di sovvertire la tendenza. Il mezzo per realizzare ciò è l’unica arma che Valerie aveva a disposizione: la scrittura.

Cruda e diretta, che lascia il segno. Per dare forza a una presa di coscienza, una svolta, che altrimenti non avverrà mai realmente come si deve.

Nicola Di Giuseppe
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Nicola Di Giuseppe
Un’anima straniera in un corpo napoletano, sognatore a tempo pieno e artistoide a tempo parziale. Si ciba di parole e arti visive, mentre viaggia, scopre nuove culture e tifa Napoli. Ogni tanto, poi, cerca di vincere il fantacalcio.