Di solito mi sveglio all’alba, preparo il caffè e faccio colazione con la mia famiglia. C’è sempre un grande baccano a casa nostra: non sono abituato al silenzio. Poi esco e vado al lavoro, ma la mia mente non è mai lì per davvero. Mi perdo pensando a mia moglie, a cosa staranno facendo i bambini a scuola e a come non vedo l’ora di tornare a casa per sentire i racconti delle loro giornate.
Quella sera tornai a casa un po’ prima del solito, avevo voglia di stare con loro. Ci mettemmo tutti sul divano a guardare la TV, fino a quando i bambini non si addormentarono. Io e mia moglie li portammo a letto e poi ci coricammo. Prima di addormentarmi, le diedi un bacio sulla fronte. Non avrei mai immaginato sarebbe stato l’ultimo.
E poi arrivarono le 3:32. Ricordo solo la paura, il terrore, le grida dei miei figli, la casa che tanto amavamo crollare come un castello di sabbia. Tutto sepolto: i ricordi, mia moglie, i bambini. E da quel momento ci fu solo silenzio.
L’Aquila è storia
In una notte L’Aquila perse tutto: secoli di storia furono spazzati via in un attimo. Le piazze, i monumenti, le chiese presero le sembianze di una massa informe di macerie. Da molti spesso sottovaluta, la città era una delle più belle d’Italia, emblema dell’immenso patrimonio artistico che tutto il mondo ci invidia. I suoi 99 castelli, 99 chiese, 99 piazze e 99 cannelle da sempre la velano di mistero. Una leggenda narra che la città sia una seconda Gerusalemme, come si può vedere dalla pianta che presenta molte analogie con quella della Citta Santa. Leggende a parte, il fascino di questa città sta nella capacità di reinventarsi di fronte alle difficoltà: L’Aquila vide spesso le sue mura rase al suolo, ma ogni volta gli abitanti trovarono la forza di ricostruirla, senza mai perdersi d’animo.
L’Aquila non molla
Prima di quel fatidico 6 aprile, gli Aquilani erano abituati a vedere la loro città brulicante di persone, studenti e turisti. Qualcosa si frantumò quella notte, ma non furono soltanto le case e gli edifici. Le strade una volta rumorose e frenetiche da un giorno all’altro si svuotarono, sommerse dalle macerie. Un silenzio sacro prese il posto del brusio quotidiano.
Ma gli Aquilani non hanno smesso di lottare. Spesso si sono sentiti trascurati, hanno perso fiducia nelle istituzioni che troppe volte hanno fatto loro promesse che si sono rivelate vane. Eppure non hanno mollato. Ed è questa determinazione, questa lotta continua a infondere speranza. Speranza di far tornare L’Aquila quella che era e vederla sorgere dalle macerie. Ad oggi molti progressi sono stati fatti e la città sta riacquistando piano piano il suo antico splendore, ma ancora lunga è la strada, specialmente per quanto riguarda le province dove gli abitanti sono ancora più abbandonati a loro stessi, ma non per questo meno determinati.
La scorsa notte, le finestre delle case degli Aquilani si sono illuminate con candele e torce dei cellulari in ricordo delle 309 vittime del terremoto. Quelle luci, come tante stelle, hanno ravvivato il cielo nero, nel quale brilla indisturbata la costellazione dell’Aquila che illumina la città e la protegge dall’alto.