Era il 15 aprile 2013: una Boston in festa per il Patriots Day era in pieno fermento per la partita dei Red Sox, da una parte, e la famosa maratona annuale per le strade cittadine, dall’altra.
Due ordigni: 3 morti e centinaia di feriti
Nel clima di spensieratezza e sportività, il primo ordigno esplose alle 14:49, a poche centinaia di metri dal traguardo finale della gara, travolgendo i corridori in arrivo con la propria onda d’urto. Neanche il tempo di rendersi conto dell’esplosione, che un secondo boato, centro metri più giù su Boylston Street, ruppe il silenzio di stupore con l’ennesima detonazione.
Tre furono i morti che le bombe si lasciarono alle spalle: Krystle Campbell, 29 anni del Massachussets; Lingzi Lu, studentessa cinese alla Boston University; Martin Richard, di soli 8 anni. Si contarono 264 feriti, di cui almeno una decina subirono amputazioni degli arti inferiori.
Intento jihadista
Le bombe, piazzate dai fratelli Dzhokhar e Tamerlan Tsarnaev, musulmani di origine cecena, erano due pentole a pressione riempite con materiale esplosivo, bulloni, chiodi e pezzi di ferro. Nascosti in due zainetti scuri, gli ordini furono posizionati sui marciapiedi del percorso podistico, tra le gambe delle centinaia di spettatori.
Gli attentatori, mossi da intenti jihadisti, furono individuati grazie al lavoro simbiotico della Polizia di Boston e dell’FBI. Il maggiore dei fratelli Tsarnaev morì in un conflitto a fuoco con la polizia, dopo aver colpito un agente nei pressi del Massachussets Institute of Technology. Il minore, Dzhokhar, all’epoca 19enne, fu arrestato e condannato alla pena capitale per decisione dei dodici giurati della corte federale di Boston.
La condanna e la protesta
Alcuni membri della giuria presero in considerazione l’attenuante della giovane età e quella dell’assenza di precedenti penali, ma le aggravanti prevalsero: «la premeditazione e la pianificazione dell’attacco, la crudeltà e l’efferatezza del crimine, l’uso di armi di distruzione di massa, l’aver causato la morte di un bimbo innocente, l’aver preso di mira un evento sportivo iconico, la maratona più antica della storia degli Stati Uniti.»
Attualmente Dhzokhar è in un carcere di massima sicurezza in Colorado ed i suoi legali hanno chiesto la conversione della pena capitale in ergastolo, sostenendo che il processo non sia stato obiettivo né giusto nei confronti dell’imputato.
Boston Strong ma quest’anno si rimanda
Ogni anno, fino al 2013, la maratona di Boston si svolgeva in quello che era noto come il Patriots Day, celebrazione degli eroi di guerra americana. A partire dall’anno successivo all’attentato, la maratona è diventata il simbolo della resilienza della città americana con lo slogan “Boston Strong” e celebrando il 15 aprile come il One Boston Day. A causa dello stato di emergenza sanitaria in cui versa l’intero pianeta, quest’anno, la corsa è stata spostata al 14 settembre.
Film e documentari per saperne di più
Per poter conoscere meglio tutta la vicenda ed approfondire le storie di ciascun protagonista, vi consigliamo alcuni titoli sul tema.
Primo fra tutti: Patriots Day, in italiano tradotto come “Boston- Caccia all’uomo”, uscito nelle sale nel 2016. È l’adattamento cinematografico del libro Boston Strong di Sherman e Wedge e vi catapulterà nella vicenda seguendola passo passo accanto alla polizia di Boston e alla sezione dell’FBI che seguì le indagini per catturare gli attentatori.
Se invece vi interessano le storie dei sopravvissuti, vi consigliamo Stronger- Io sono più forte, uscito l’anno dopo con protagonista Jake Gyllenahaal, nei panni di Jeff Bauman, a cui furono amputate entrambe le gambe in seguito all’attentato.
Per gli appassionati del genere documentario, ne abbiamo due: The man with the Cowboy Hat che racconta di Carlos Arredondo, conosciuto per aver salvato vite durante l’attentato alla maratona e la cui esistenza venne cambiata per sempre dieci anni prima di quella vicenda, dalla morte del figlio in guerra in Iraq; Inside the hunt for the Boston Bombers, prodotto dal National Geographic nel 2014 per raccontare le indagini e la caccia agli attentatori.
Margherita Sarno
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