Si parla di riapertura senza rassicurare su come siano stati risolti i problemi presenti a settembre
Oltre al tema del Natale e al terribile vuoto emotivo lasciato dalle piste da sci chiuse fa discutere un aspetto ben più importante come la scuola in presenza. Non si è mai finito di parlarne in realtà. La miccia è stata sempre accesa rinfocolata dal primato del nostro Paese che, a quanto pare, è l’unico in Europa ad aver chiuso le scuole.
Il tema è tenuto alla ribalta dal ministro dell’istruzione Lucia Azzolina che, della riapertura delle scuole, ne ha fatto un vero e proprio cavallo di battaglia sin dal luglio scorso.
Dopo essere stata costretta a ordinare la didattica a distanza a poche settimane dall’inizio dell’anno scolastico Lucia Azzolina adesso è tornata alla carica con la proposta di riprendere la didattica in presenza dal 9 dicembre. Idea contro cui si sono già scagliate le Regioni che rilanciano con l’idea della riapertura delle scuole il 7 gennaio.
Nella vicenda del Covid- 19 raramente abbiamo visto buonsenso da parte delle istituzioni regionali. Questa volta però la loro proposta sembra avere un fondamento. Che senso avrebbe riaprire le scuole per 13 giorni per poi suonare la campanella per l’inizio delle vacanze di Natale? Sarebbe piuttosto laborioso a meno che il ministro non scelga di ridurre la pausa natalizia. Idea plausibile ma che al momento non è sul tavolo.
A parte la data di riapertura, la proposta di ripresa della scuola in presenza pone alcune questioni. Nessuno ci ha ancora detto ad esempio se la sospensione della didattica in presenza ha inciso sul rallentamento dei contagi. Più importante ancora: siamo certi che in questo tempo tutte le Regioni abbiano prodotto i piani per rendere il trasporto pubblico adeguato nel ricevere un aumento dell’utenza?
Il motivo principale per cui si è provveduto a chiudere nuovamente le scuole è la scarsa fruibilità dei mezzi pubblici in sicurezza. Siamo sicuri che adesso saranno predisposti per trasportare gli studenti oltre ai lavoratori che continueranno con ogni probabilità a lavorare?
Di questo si deve parlare, altrimenti rischiamo di riportare indietro le lancette dell’orologio. Va bene essere all’altezza degli altri Paesi europei ma valutando le reali possibilità e gli elementi di rischio.
Parallelamente non possiamo fingere di non vedere come la pandemia abbia evidenziato l’incapacità di adattamento della nostra scuola. Il welfare digitale per noi è ancora un vocabolo sconosciuto e il venir meno della fisicità ha disorientato gli animi. Su questo dovremmo riflettere, al di là dei benefici indiscussi di una scuola in presenza.
Aprirsi alla tecnologia non sarebbe affatto una cattiva missione. Con evidentemente una rivoluzione da fare: gli strumenti tecnologici, tutti, dovranno entrare a far parte del diritto allo studio. Non sarà più possibile tenere la scuola in un’epoca lontana da quella in cui viviamo. La pandemia ce lo sta facendo capire fin troppo bene. Sarà un errore non tenerne conto.
Federico Feliziani
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