La rapida crescita del movimento delle sardine presenta già il problema di una possibile strutturazione. Scelta da non sottovalutare
Il dibattito politico sembra aver acquisito una nuova voce, o meglio nuove voci. Dalla piazza di Bologna le sardine hanno fatto strada e si preparano all’incontro nazionale del prossimo fine settimana a Roma.
Nella sua novità assoluta il movimento delle sardine sta riuscendo nella complicata missione di riscoperta della piazza come luogo di rivendicazione e proposta. Chi in questi giorni scrive di un’assenza di proposte nelle sardine o è in malafede o non percepisce il valore del grido composto e silenzioso partito da Bologna e diffuso in tutto il Paese. Un grido che dice molto: dice cosa non si vuole più vedere. Chiede l’abbandono della rozza semplificazione per tornare a raccontare la complessità del tempo che viviamo.
Chi banalizza le sardine non osserva la spontaneità con cui tutto è nato e la libertà dei cittadini che si stanno incontrando nelle piazze d’Italia. L’eccessivo complottismo utilizzato da certe parti rischia di far perdere una grande occasione per una rigenerazione della politica. Fa paura forse pensare che migliaia di persone stiano scegliendo autonomamente di costruirsi una sagoma di sardina e andare nel luogo storico delle lotte. Per molti versi tutto questo è difficile da comprendere ma contemporaneamente è proprio l’eccezionalità del fenomeno a farne un caso.
Il rischio non poi così lontano
La spontaneità è l’elemento caratterizzante delle sardine. Il fatto che non abbiano bandiere precise fa sì che riescano a manifestare una richiesta di rappresentanza che la politica tradizionale non sa più recepire. Ma la politica dei partiti è altamente pervasiva. Il passo dalla piazza ad élite è breve e inconsapevole. Per come stiamo conoscendo il movimento delle sardine sarebbe l’inizio della fine. Un movimento che sta ponendo questioni alle élites politiche non può entrare a farne parte; pena: la sua immediata dissoluzione.
Il rischio concreto che le sardine stanno correndo è quello di una strutturazione. Di perdere cioè quella spontaneità che sta facendo crescere l’arcipelago. Cittadini che si ritrovano spontaneamente in piazza non possono trasformarsi nei cosiddetti portatori di interesse. Rappresentare migliaia di persone è un compito assai difficile e non può essere svolto da un movimento i cui membri si incontrano per molte e diverse ragioni.
Dalla simpatia all’antipatia il passo è corto e l’eccessiva sovraesposizione mediatica di leader non riconosciuti come tali dai gruppi di riferimento non può che far crescere l’insofferenza per una somiglianza troppo marcata ad altro. Mattia Santori si sta inconsapevolmente trasformando nel leader mettendo in serio pericolo lo spirito originario delle sardine. Arriverà a breve un bivio: restare movimento e abbandonare i salotti televisivi o compiere il salto diventando un vero e proprio attore politico affrontando tutte le conseguenze della scelta.
Un’esistenza difficile quella delle sardine che adesso devono scegliere se accasarsi o ridimensionare i leader senza gruppo che stanno emergendo. Un problema complesso da affrontare ma necessario per capire che cosa voler essere nel futuro.