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Politica

Recovery Fund in arrivo. Ma come investire i 209 miliardi?

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Dopo il risultato di Conte a Bruxelles si apre un’altra partita, quella più importante.

Da due giorni giornali, televisioni e altri siti web stanno riportando i toni trionfalistici di una maggioranza e di un Presidente del Consiglio che è riuscito a portare a casa 209 miliardi di Recovery Fund. Abbiamo visto gli applausi all’ingresso di Conte al Senato e abbiamo registrato i distinguo frammentati dell’opposizione. Tutto bene? Tutto finito? No. La partita più dura -quella da giocare in casa- inizia adesso.

I 209 miliardi che arriveranno a partire dal 2021 sono strettamente connessi a riforme che l’Italia dovrà dimostrare di attuare. Tutto ciò non è banale. Ovvero: l’ammontare complessivo del Recovery Fund verrà versato al nostro Paese secondo tranche e a fronte di cambiamenti profondi in campi specifici. I settori indicati dalla Commissione sono: lavoro, giustizia, pubblica amministrazione, istruzione e sanità.
Sembra auspicabile: sono i settori nei quali l’Italia ha debolezze note da decenni. Tuttavia a questo punto entra in campo una scelta tutt’altro che banale, che sembra rimanere sullo sfondo: riforme tecniche o politiche?

E questo non ce lo chiede l’Europa. Se vogliamo che quei settori siano riformati tecnicamente o politicamente lo dobbiamo scegliere noi; o meglio, il governo. Su questo punto decisivo sotto molti punti di vista sembra esserci una leggerezza poco rassicurante. Al rientro da Bruxelles il Presidente del Consiglio Conte ha iniziato a parlare di task force per disegnare le riforme. Questo potrebbe significare che il governo voglia affidare a tecnici il piano da sottoporre poi al Consiglio europeo. 

Si apre però un dilemma antichissimo che attiene alla tradizionale impopolarità delle proposte scritte da tecnici. E siccome la politica si nutre di popolarità ha quasi sempre cestinato i documenti scritti da tecnici perché, se attuati, avrebbero portato a pesanti critiche da parte dell’opinione pubblica. Del resto i tecnici non possono avere una visione politica ed è forse per questo che le loro proposte sono sempre percepite come uno schiaffo ai cittadini.

D’altronde la politica non dovrebbe demandare ad altri un suo fondamentale compito: quello di proporre azioni che abbiano una base valoriale potente su cui, poi, l’elettorato esprimerà un giudizio.
In una fase delicata come quella in cui si trova il Paese tutto può mancare tranne che una visione politica su come riattivarsi dopo una pandemia mondiale. 

Quello che sembra mancare è la risposta coraggiosa di una politica ambiziosa difronte alla scelta di come investire una somma di denaro consistente. Neanche la ritrovata fiducia nella competenza potrà frenare la diffidenza nei confronti di risposte tecniche a domande politiche. E non per il solito luogo comune che descrive l’Italia come reticente a fare sacrifici, bensì perché passerebbe il messaggio di una classe politica che non sa assumere scelte di prospettiva. 

Se Conte vuole rafforzarsi ancora di più dopo il risultato raggiunto a Bruxelles non deve rinunciare al ruolo in assoluto più politico: scegliere dove investire le risorse conquistate. Lo può fare con i suoi ministri, con le forze politiche di maggioranza e perché no anche coinvolgendo l’opposizione. L’importante sarà non delegare ad altri, appiccicandogli addosso l’etichetta di super partes, decisioni squisitamente politiche.

Federico Feliziani

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Federico Feliziani
Autore e scrittore di prosa e poesie, blogger e consigliere comunale a Sasso Marconi, è da circa un decennio politicamente attivo e dedito alla causa contro le violazioni dei diritti umani. Considera la propria disabilità un’amica e compagna di vita con cui crescere e mantenere un dialogo costante.