Il balcone come valvola di sfogo, simbolo di solidarietà, palcoscenico per gli esibizionisti, cassa di risonanza per iniziative comunitarie. Tutto ciò che ci è permesso fare fuori dalle nostre case è circoscritto nello spazio di un balcone- un terrazzo per i più fortunati, il condotto di areazione forzata del bagno per i meno prosperi. E dentro le case cosa accade? Pare che la stanza in cui gli italiani stanno dando il meglio di sé in questo periodo di quarantena sia proprio la cucina.
Basta scorrere le pagine social ed è tutto un trionfo di pizze caserecce, sontuosi dolci, teglie di lasagne, aperitivi homemade. Tutta roba che su una tavola del sud si vede praticamente ogni domenica. La clausura forzata ci ha spinto verso forni e fornelli, nella speranza di trovare nel cibo e nella sua preparazione uno stimolo, un intrattenimento, una gioia per il palato e un motivo di condivisione. Ovviamente social.
Eravamo stanchi di cucinare…
Eppure fino a qualche mese fa, le statistiche riferivano un rapporto diverso degli italiani con il cibo: nonostante la nostra cucina sia celebrata a livello internazionale, tra le più ricche e sane, ci siamo talmente impigriti da aver smesso di cucinare. A prendere in mano il mestolo pare siano state le numerose app di food delivery che, mettendoci i pasti davanti senza nessuno sforzo, ci hanno fatto perdere l’abitudine della preparazione autonoma di pranzi e cene. E poi, con un figlio celiaco, l’altro vegano, il marito a dieta e la moglie intollerante al lattosio, vuoi trovare il tempo e la pazienza per preparare un pasto che accontenti tutti? Tempo. Maledetto tempo che non avevamo e che preferivamo trascorrere guardando Masterchef o 4 Ristoranti davanti ad una porzione di Quattro Balzi in Pentola a Pressione che si autoscongelano e mettono nel piatto praticamente da soli.
…ma non di criticare
I programmi tv, di cui abbiamo fatto insane scorpacciate, hanno cambiato il nostro modo di vivere il rapporto con la cucina. Siamo diventati poco esigenti con quello che cuciniamo tra le mura domestiche e molto rompipalle quando ci sediamo attorno alla tavola del malcapitato locale di turno del quale facciamo minuziose analisi di location, menù, servizio e conto. Diamo certamente il meglio di noi quando dobbiamo recensire: a colpi di palline e stelline, ci sentiamo come i giudici di Masterchef, capaci di affondare un ristorante solo perché in bagno l’asciugamani elettrico non era un Dyson. Abbiamo sviluppato un palato e un senso critico che mettiamo a riposo quando, stravaccati sul divano, ci accontentiamo della napoletanissima pizza con il kebab di Muhammed l’ischitano o delle lasagne surgelate del discount tedesco, saporite come i pezzi di intonaco dei murales a Berlino. E la bontà di quei sughi pronti: pronti per essere buttati nel cestino.
“Ma famme magnà, ma che me frega”
Ma non tutto il male viene per nuocere. Lungi dal voler dissacrare un’emergenza sanitaria che ci sta mettendo in ginocchio su più fronti, va detto che, ognuno nel suo piccolo, sta trovando la maniera di reagire, quanto meno alla clausura forzata. In alcune zone del Paese, come la Campania, sono state proibite anche le consegne a domicilio. E dunque finalmente tutte quelle ore di Prova del Cuoco e di Fatto in casa da Benedetta, possono dare i propri frutti. La quarantena ci ha regalato del preziosissimo tempo che, chi più chi meno, abbiamo scelto di investire ai fornelli: preparare un dolce con i propri bambini, deliziare i coinquilini con un impegnativo manicaretto, sfogare le proprie frustrazioni impastando la pizza, usare le pentole e i coperchi per preparare il sugo dopo averli sbattuti per bene al ritmo dell’Inno di Mameli. E poi mangiare. Mangiare come se non ci fosse una prova costume tra due mesi. Assaporare ogni boccone come si assapora la libertà dopo averla persa. Divorare la noia, la tristezza, la solitudine, la lontananza.
Dopotutto, siamo italiani, buone forchette ma pure grandi furbacchioni: se l’unica ragione che possiamo sfruttare per uscire di casa è la spesa, tutta ‘sta roba che compriamo compulsivamente ogni giorno come la dobbiamo smaltire?