Alzaia Naviglio Grande 156. Abbastanza vicino da poter dire “vivo a Milano” e abbastanza lontano per non subirne i ritmi. Forse hanno pensato questo Luca e Rosita mentre insieme varcavano per la prima volta la soglia della loro casa. Ma neanche il tempo di uscire completamente dall’età dello studio che avevano già trovato la morte proprio in quella casa. Un corto circuito ha causato l’incendio, ma innescato anche la seguente riflessione. Quando essere studente significa subirne la condizione?
I gironi danteschi vissuti dai fuori sede
Si dice fuori sede ma si legge sfigato e chi non ne vive la condizione non può capirlo completamente. Perché non è facile per un fuori sede costruirsi da zero una vita in una città sconosciuta. Trovare casa, ma soprattutto un affitto ragionevole, farsi nuovi amici e nuove abitudini, cavarsela da solo. Per non parlare dei coinquilini. Servirebbe un altro articolo per sviscerarne tutte le categorie. Tutto questo però fa parte del gioco, del diventare grande e prendersi le responsabilità delle proprie scelte. Significa perciò rischiare di dover morire come Luca e Rosita? Perché è questo il nocciolo della questione: la condizione abitativa precaria dello studente.
Il peggioramento della condizione abitativa
Precarietà: una parola spesso abusata di cui forse non se ne apprende completamente il doppio significato. In primis, la precarietà abitativa è di tipo pratico: cercare casa è sempre un casino in qualsiasi città. Il cosiddetto “caro affitti” ormai è una realtà consolidata, un turbine economico lontano dal discorso universitario ma che risucchia lo studente in tutto e per tutto. L’aggravante è la diminuzione dell’offerta degli appartamenti a favore di b&b improvvisati e case vacanze. Per non parlare delle agenzie richiedenti la busta paga o il garante…. Ma l’essere studente è tutt’altro che un viaggio in prima classe e benché sia normale che un ragazzo spesato dalla famiglia abbia le pezze al culo, voglio aggiungere il secondo significato di precarietà. Quella psicologica, forse di gran lunga peggiore a quella economica.
Stato di precarietà o Comune condizione?
Lo Stato, questo sconosciuto. Sentirsi abbandonati dallo Stato (o dal Comune nel caso degli studenti) porta alla proliferazione di comportamenti dettati dalla cattiveria e dall’egoismo. In poche parole significa farsi giustizia da soli, da entrambe le parti. Il Comune non offre abbastanza soluzioni abitative? Lo studente ricerca un affitto in nero. Lo Stato pone troppe imposte sul reddito da affitto? Allora il proprietario non effettua i controlli adeguati. Un cane che si morde la coda, una situazione poco controllabile perennemente borderlain. Lo Stato ha il dovere di intervenire, tuttavia si sa, per l’azione della pubblica amministrazione ci vuole tempo.
Chi si stancherà prima?
La verità è che siamo già stanchi di non essere ascoltati. Perché non si abbassano le imposte sul reddito? Perché non si costruiscono nuovi alloggi? Dove li mettiamo poi i controlli adeguati? E il canone concordato di cui si parla raramente? Perché non si alza la soglia dei prestiti a lungo termine agli studenti come nei paesi anglosassoni? Perché aumentano le borse di studio (se aumentano) e non il cash disponibile? Tutte domande complicate a cui forse solo un’azione comune darà risposta.
Intanto alzo lo sguardo e vedo innalzarsi il nuovo campus made in Bocconi: 150 milioni di euro di investimento per 300 posti letto, 2 piscine, 17mila mq di parco, 41 aule e 124 uffici. E capisco che il mondo è così grande che non tutti possono abitare in Alzaia Naviglio Grande 156. E a questo pensiero la domanda “quando essere studente significa subirne la condizione?” prende tutto un altro sapore.