Cosa vedi nello specchio?
Qualcuno che ci sta provando.
Ci sto provando.
Quando ho iniziato la psicoterapia, ho pensato che potesse risolvere tutti i miei problemi, che, come per magia, ne sarei uscita “aggiustata”. Al contrario, mi ha fatto capire che non sono un puzzle da risolvere. Anzi, ti dirò di più: ho capito che i problemi sono una roulette russa, del tipo che se tutto va liscio per un po’ inizi ad aspettarli o – nel mio caso – a crearteli. Ma la chiave, o almeno penso lo sia, sta nel come li affronti. Ecco, la terapia ti fa capire che non importa il cosa, quanto il come.
A settembre ho scelto di mettere la giacca, prendere il treno e sedermi nello studio di un psicoterapista. L’ho scelto anche se io odio scegliere.
Scegliere mi fa sentire in balia di un mare dove non so nuotare, dove più mi dimeno più sprofondo, più sembra che sto trovando una via d’uscita, più la corrente mi spinge giù, dove più cerco di lottare, più il mare mi ricorda che sono troppo piccola per farcela. Nel mare ci sono ansie, preoccupazioni, tutte quelle frasi dette senza pensare che rimangono lì, mentre io sprofondo loro stanno a galla, come se in fin dei conti fossero più forti di me.
Eppure, due mesi fa, nel momento in cui più di tutti quel mare mi annegava, ho scelto di sedermi in quello studio.
Mi sono appena laureata. Come quasi tutto il restante mondo del mio Instagram. A volte mi chiedo, cosa si cela dietro a quelle corone di alloro? Cosa davvero, raccontano, del percorso di una persona? E cosa riflettono nei pensieri di chi quella corona ancora non ce l’ha?
Il mio? Un percorso a tornanti.
Spesso quando mi trovo ad un bivio, scelgo di non essere lineare. E sì, molto spesso me ne sono pentita. Un mese fa ho scelto di svegliarmi la mattina e pensare non posso credere che ora abito a Vienna quando soltanto cinque mesi fa ero in Olanda. Bello da fuori, ma difficile da dentro. Mi manca la mamma e più che ad una persona ormai assomiglio più ad una pallina da ping pong: dove capito vado. Più che vado, mi lancio. Più che mi lancio, mi butto. Più che mi butto, beh, avete capito. Ma da dove scappo?
Il terapista dice che devo imparare a dirmi che faccio le cose bene. Ma ancora non sa che a volte mi è difficile portare a termine anche quelle più semplici. Alzarmi, togliermi il pigiama, fare il caffé. E non sa che è molto più facile dubitare di me quando i pensieri mi assiedano, che riconoscere i miei successi. Che ho paura di scegliere perché ho paura del futuro pieno di incognite, dove magari “fare le cose bene” non basterà più.
Ho capito tanto dalla psicoterapia, che mi piace auto-sabotarmi e che fare terapia non è facile per niente. Mi sono sentita esposta, nuda, vulnerabile. Perché se è vero che la terapia è priva di giudizio, è piena di confronto. Dalla psicoterapia non si scappi da te stessi. Il terapista ti pone dinanzi uno specchio, scorgerai il tuo inconscio. La parte più irrazionale, sconvolgente, affascinante di te. Ed è proprio guardando nello specchio che la terapia dà forza e la vulnerabilità dimostrata viene compensata.
Io, nello specchio, ho visto qualcuno che ci sta provando. Sto provando a dirmi che faccio le cose bene. Che mi merito una mamma e un papà orgogliosi di me, una sorella con cui posso parlare di tutto, amici sinceri a cui importa di me, una persona che accetta lo strano e complicato mondo della mia mente e sceglie di amarlo. E mi merito tutto questo anche quando sto male, quando non voglio uscire dal letto o togliermi il pigiama.
E sto provando a scegliere. Ho capito che scegliere è anche bello, così come avere un mondo di possibilità davanti. E che alla fine sti cazzi, se sbaglio posso sempre tornare indietro. Che va bene che la mia vita non segua una strada convenzionale. Che va bene che a dieci anni non sapevo già di voler diventare un medico o un avvocato e che ancora adesso non so cosa diventerò. Che va bene anche se le persone non sanno cosa faccio. Che va bene che nemmeno io so cosa faccio. Che vado bene come sono, nel mio essere impacciata, strana, complicata, silenziosa, introversa, generosa, creativa, vera. E che è giusto che io sia così.
Ci sono state volte in cui ho odiato la mia indecisione a tal punto da andare a letto e pregare l’indomani di risvegliarmi un’altra persona. Ma se domani mi svegliassi e in quello specchio non vedessi la solita faccia assonnata che vedo ogni mattina, mi dispererei. Perché quella faccia assonnata mi mancherebbe troppo. Anche se spesso mi fa proprio incazzare, mi mancherebbe troppo.