Tirano più due vittorie consecutive che 20 punti in 15 giornate. È questa la situazione del Milan, dopo i trionfi esterni contro Parma e Bologna. Un vecchio adagio di saggezza popolare, riadattato per fotografare il momento dei rossoneri. Un tripudio, uno sfogo più che altro, dopo una serie infinita di ganci e montanti. A questa gragnuola di colpi il diavolo ha resistito, rimanendo in piedi e continuando a restare attaccato ad un match, quello per il quarto posto, che vede competitor agguerriti e di livello. Due vittorie di seguito che non devono distogliere dalla realtà, in netto miglioramento ma pur sempre tragica.
Il maestro Pioli e l’ABC
Sono passati due mesi dall’insediamento di Pioli. È bastato poco per capire che l’era Gianpaolo, cultore del bel gioco, non sarebbe durata. Troppa rigidità ed uno schematismo applicabile solo in squadre con uno zoccolo duro e giocatori fatti, finiti ma con ancora potenziale da esprimere hanno messo fuorigioco l’ex Sampdoria. Cambio inevitabile ma irritante, come quando decidi di uscire, hai comprato l’abito apposta ma, all’ultimo, decidi di indossarne uno che avevi già. Pioli di milanese aveva già qualcosa, di milanista nulla. Con un passato all’Inter, farlo digerire ad alcuni tifosi, pochi probabilmente, è stata dura. E allora via, ricominciare sì ma dalle basi. Corsa, grinta, voglia. Tutte cose visti nei primi tempi contro il Lecce, in parte contro la Roma, pochino con la Spal e parecchio contro Lazio e Juventus. Poi il pareggio contro il Napoli e le ultime affermazioni fuori casa, per questo altamente nutritive per un Milan in deficit energetico.
Un posto – Champions – al sole
Semplicità: è questa l’essenza del Piolismo (se non ti poni come allenatore ideologo/filosofo ormai non sei nessuno). Recuperare morale, aggiustare, tappare ogni spiffero che entra e riportare quel tenero calduccio che propaga l’alta classifica. Con l’ultimo posto Champions lontano 9 punti (stessa distanza dalla zona rossa, fatalità) fa ancora freschino ma legna da ardere ce n’è. Il primo tizzone incandescente a scaldare un diavolo intirizzito, è stato Theo Hernandez. Ad attizzare il fuoco Conti, Bennacer, Krunic ma, soprattutto, la scintilla decisiva l’ha data lui: Jack Bonaventura. L’ultimo vero cuore rossonero di questa squadra insieme a pochi altri. Aspettando Paquetà, un Piatek più continuo e sperando in Ibrahimovic, adesso il rischio è pensare che sia fatta ma non è così. La bufera soffia forte e spegnersi è un attimo. A meno che non ci si accontenti, tanto basta che respiri. Solita storia di carri e di buoi.
Luca Villari