La mia generazione è stata etichettata come “Millennial generation” o “Generazione Y” e ne fanno parte tutti quelli che sono nati tra il 1980 e il 1995.
Gli stessi “etichettatori”, dopo il 2008, ci hanno messo subito in guardia: scordatevi il posto fisso!
Detta alla Bauman, la nostra generazione ha dovuto immergersi nel “lavoro liquido”; sono stati sradicati tutti quei paletti del tipico posto di lavoro fantozziano (orari di ufficio, scrivania e Ficus, timbrare l’entrata e l’uscita ecc.), ma con loro se ne sono andati anche quelle certezze su cui ci si creava una famiglia.
Molti dei miei coetanei si sono trovati nel limbo tra i due modi di vedere il mondo del lavoro o se vogliamo anche la vita; cercare di afferrare ancora gli strascichi del vecchio mondo o fare un salto nel buio tra Start-up, lavori digitali o nuove vite dall’altra parte del mondo?
Qui comincia la storia di Matteo Casone, giovane bolognese laureato in Economia e Commercio, che dopo la laurea si trasferisce a Milano e comincia una promettente carriera in una delle più importanti aziende di consulenza, ma poi scatta qualcosa nella sua testa…
“La mia vita era solo lavoro e non avevo tempo per me. Vivevo per lavorare e lavoravo per vivere visto che Milano è veramente costosa. A quel punto, dopo 3 anni così, decisi che non volevo più fare quel lavoro, ma che volevo essere il capo di me stesso”.
Matteo all’epoca aveva poche certezze se non quella di mollare tutto e andare fuori dall’Italia, più precisamente in Australia.
“Ero capitato poco tempo prima in Australia durante un viaggio e me ne innamorai subito e il mio socio era d’accordo con me visto il trend di crescita costante che la caratterizzava nonostante la crisi”. Sì, un socio, perché spesso per fare salti del genere c’è bisogno di qualcuno che ti tiene la mano e che si butti con te. “Per me è fondamentale essere in due o più persone per fare impresa perché la chiave del successo è la conoscenza e due teste possono immagazzinare più informazioni di una. Inoltre, è sempre utile avere un altro punto di vista per poter affrontare meglio i problemi e trovare le soluzioni migliori”.
Se il “dove andare” era già deciso, il “cosa fare” invece era ancora un’incognita.
“Ci trovammo io e Matteo, sì anche il mio socio si chiama Matteo, per decidere cosa due bolognesi potessero esportare in Australia e arrivammo ad un bivio: pasta fresca o gelato. La scelta ricadde sul gelato. Cosa c’è di più buono del gelato?”.
A questo punto i due ragazzi cominciarono da zero la loro formazione per diventare GELATIERI.
Attenzione a non confonderli con i gelatai, i gelatieri sono coloro che creano i gusti utilizzando le materie prime più ricercate.
“Ci dividemmo facendo corsi diversi per poter accumulare più conoscenze possibili nel minore tempo possibile. I corsi spaziavano dalle tecniche di lavorazione delle materie prime, creazione di gusti e menù, fino a toccare aspetti più pratici sul come gestire l’attività”.
A questo punto i due soci fecero una cosa abbastanza insolita, aprirono una gelateria a Bologna, ma allo stesso tempo il nostro Matteo cominciò anche a lavorare presso una rinomata gelateria del capoluogo. Nacque così la prima Macelleria. “Il nome era dovuto al fatto che i gusti avevano i nomi di tagli di carne e questo destò un po’ di curiosità tra la gente”.
Ma perché aprire un locale a Bologna se lo scopo era andare all’estero?
“La prima Macelleria ci serviva un po’ come versione Beta del nostro progetto. Durante quel periodo mettevamo in pratica tutte le nostre conoscenze acquisite durante i corsi, ma anche durante il mio secondo lavoro presso l’altra gelateria e non andò nemmeno male! Stimammo che saremmo rientrati nell’investimento in circa 3 anni, ma dopo una stagione chiudemmo comunque perché non era il nostro obiettivo. La Macelleria di Bologna ci serviva solo per capire sul campo come relazionarsi con i fornitori, con i clienti e l’importanza delle materie prime. Meglio sbagliare a casa che dall’altra parte del mondo”.
La breve parentesi bolognese e soprattutto la decisione della veloce chiusura non fu capita da tutti, anzi, i due ragazzi attirarono anche delle critiche, ma nessuno poteva conoscere il loro folle piano.
Ricchi di un carico di conoscenze invidiabile, esattamente ad un anno dall’inizio della loro nuova vita, partirono per la terra dei canguri, precisamente per Brisbane.
Anche questa non fu una scelta casuale, ma frutto di un accurato studio del territorio che aveva fatto emergere una bassa presenza di concorrenza e una temperatura media elevata.
Superato lo scoglio del visto e risolta la parte burocratica legata all’apertura di una nuova attività, mancava solo la location perfetta.
“Non fu una ricerca semplice! Passammo 4 mesi in un piccolissimo appartamento spulciando decine e decine di annunci”.
Ma come sempre, non fu lasciato nulla al caso.
“Per ogni locale facemmo un’attenta analisi di mercato. Ci appostavamo per quattro o cinque giorni di fronte alla possibile location con un conta-persone per valutare l’affluenza durante la giornata. Studiavamo il tipo di clientela e gli orari di massimo afflusso. Dopo di che si passava alla contrattazione con gli agenti immobiliari. Grossa nota dolente visto che la categoria risulta molto spietata con gli stranieri, soprattutto se non padroneggiano al meglio la lingua. Fu un periodo molto snervante perché il nostro budget era largamente inferiore rispetto alle richieste e questo rendeva le contrattazioni lunghe e faticose”.
Siete mai stai vicini a mollare tutto e tornare a casa?
“Sì, anche se avevamo in testa sempre il nostro obiettivo, la lunga ricerca del locale ci stava mettendo veramente alla prova, ma proprio quando stavamo guardando i voli per il rientro, decidemmo di andare a vedere un posto inizialmente accantonato perché poco centrale. Ce ne innamorammo subito e capimmo immediatamente che lì sarebbe sorta la prima Macelleria in terra straniera”.
Vinto il braccio di ferro con le agenzie immobiliari, in poco tempo venne allestito il locale. I due giovani gelatieri cominciarono a cercare i fornitori migliori per ottenere le materie prime di qualità necessarie per fare un gelato veramente all’altezza.
Matteo è lapidario sull’argomento qualità: “Se è vero che è impossibile fare dell’oro da materie prime di m***a, è altrettanto vero che è possibile fare della m***a partendo da delle materie prime d’oro”.
Il 4 luglio 2014, arrivò il giorno dell’inaugurazione.
Quanto eravate tesi quel giorno?
“Tantissimo! Tensione e paura si tagliavano con il coltello. Ma l’avere in testa sempre la mission aziendale e facendo una ottima pianificazione, riuscimmo a rimanere lucidi. Nei giorni precedenti all’inaugurazione mandammo ovunque inviti a giornalisti locali, influencer e cittadini. Dovevamo creare subito un buon giro fatto di passaparola per poter sopperire alla poca visibilità del posto”.
L’epilogo è bello come in quei film di riscatto e già alla prima apertura capirono subito che avevano centrato l’obiettivo tanto sognato. Quel 14 luglio la gelateria era piena di gente e il ritmo frenetico durò anche nei giorni successivi nonostante fosse in piena stagione invernale.
Il resto è storia…e che bella storia, perché da quella prima Macelleria i due ragazzi in soli sei anni di attività di gelaterie ne hanno aperte altre tre.
Oggi Matteo gira il mondo per portare all’estero la nobile arte del gelato italiano raccontando a giovani imprenditori la sua storia e insegnandogli tutto quello che ha imparato sulla sua pelle.
Insegni anche in Italia?
“No, in Italia ci sto molto poco perché tra i gelatieri italiani c’è molta diffidenza nei confronti di un ragazzo giovane che ha fatto fortuna all’estero e senza una lunga esperienza o tradizione di famiglia alle spalle”.
Quali consigli puoi dare a chi vorrebbe mollare tutto e partire a costruirsi una vita nuova all’estero?
“Mi ripeterò, ma è fondamentale avere un obiettivo e stamparselo in testa per non perderlo mai di vista. Senza una mission aziendale non si va da nessuna parte!
Inoltre durante i miei corsi noto spesso molta spavalderia e poca voglia di mettersi in discussione. Invece bisogna sempre fare domande a chi ne sa più di noi e circondarsi di ottimi collaboratori. La chiave del successo è il sapere: più si conosce e meno si sarà dipendenti dagli altri in futuro.
Un’altra cosa che mi chiedono spesso è quando partire. Non c’è mai un momento veramente giusto, il giorno giusto dipende dal tuo “piano”. Si ritorna sempre alla regola principe: bisogna avere un obiettivo e un progetto per raggiungerlo”.
Il tuo socio ha messo le radici in Australia e si è fatto una famiglia, tu invece non passi mai 3 giorni nello stesso posto. Pensi di cedere presto anche te alla tentazione di una vita famigliare ora che ‘ce l’hai fatta’?
“Fare figli è come fare impresa: tutti possono farli, ma è la loro gestione il vero casino! Io per il momento non mi sento proprio pronto per questo nuovo passo, ma ho grande stima per chi li fa”.
Beh, detto da uno che in appena 8 anni ha cambiato totalmente vita e creato una catena di gelaterie, da genitore mi sento veramente figo.