Nonostante Sergio Mattarella abbia ripetutamente dichiarato l’indisponibilità a un secondo settennato un Mattarella bis continua ad essere un desiderio di molti. Questa settimana è arrivata anche la rinuncia di Conte a candidarsi nel collegio di Roma 1 per le suppletive della Camera.
Mattarella bis: un problema per la reputazione della politica
Sergio Mattarella non sa più come dircelo. Questa settimana ci si è messo anche il pubblico alla prima de La Scala che oltre a tributare a Mattarella un lungo applauso gli ha chiesto anche il bis richiamando la possibilità di un secondo settennato. Può essere solo una nota di colore ma, se consideriamo che la prima de La Scala è tradizionalmente frequentata dail’élite del Paese, è più di un dettaglio scenografico.
Quello che tuttavia non si considera è come un secondo settennato di Sergio Mattarella sarebbe un danno d’immagine per la classe politica e non solo. È infatti chiaro come rieleggere l’attuale Presidente della Repubblica servirebbe per togliere la politica da una situazione di stallo.
Lo si sapeva che nel 2022 si sarebbe eletto il Capo dello Stato. Eppure la politica non sembra prendere sul serio la questione rimbalzando fra i nomi di Draghi e Mattarella. Insistere su questa strada non mostra una bella immagine dei nostri rappresentanti che sembrano intenti a divertirsi nella certezza che poi uno dei due sarà eletto.
Oltre alla deprecabile figura che si intesterebbe la politica rieleggendo Mattarella danneggerebbe anche il suo stesso lavoro per riportare il Quirinale a un ruolo meno interventista.
Come successore di Giorgio Napolitano infatti Mattarella si è sempre mosso per riportare ordine rispetto agli interventi del Quirinale. Dopo Napolitano che ha compiuto atti estremamente divisivi come l’incarico a Mario Monti nel 2011 il compito implicito di Mattarella è stato quello di ridimensionare l’attività del Colle. E possiamo dire che ci sia riuscito.
Una rielezione di Mattarella sarebbe dunque contrastante con la sua interpretazione del ruolo di Presidente della Repubblica, sarebbe un ripercorrere le orme di Giorgio Napolitano: eventualità che Mattarella non sembra proprio voler vedere concretizzarsi.
La classe politica è quindi davanti a una scelta: o si assume le proprie responsabilità ed elegge un uomo o una donna come è suo preciso compito; oppure riceverà l’ennesimo colpo alla reputazione.
Conte rifiuta il seggio di Roma 1: sceglie di candidarsi nel 2023
Questa settimana c’è stato uno scossone nella coalizione PD Movimento Cinque Stelle: Giuseppe Conte ha rifiutato di candidarsi alle suppletive della Camera nel collegio uninominale di Roma 1: quello di Roberto Gualtieri che dopo l’elezione a sindaco si è dimesso.
Se c’è una frase che mi spinge a raccontare la politica anche nei suoi tecnicismi è: “Questo è da addetti ai lavori”. Niente di più sbagliato riferito alla politica: molto spesso infatti gli aspetti più interessanti sono proprio quelli che all’apparenza interessano meno l’opinione pubblica.
Il collegio rifiutato da Giuseppe Conte è un collegio prestigioso vinto prima da Paolo Gentiloni poi diventato commissario europeo; successivamente di Roberto Gualtieri diventato poi sindaco di Roma.
Il rifiuto di Conte pone diversi punti politici interessanti. Il primo è un ritorno alle origini del Movimento Cinque Stelle. È stato detto da più parti che con questa mossa Conte rifiuta una “poltrona”, termine utilizzato dai Cinque Stelle nei primi anni di attivismo. Poi anche le argomentazioni dello stesso Conte ci riportano ad una filosofia delle istituzioni consegnata ormai ai libri di storia.
In sostanza Conte dice che, se avesse accettato l’offerta di Letta, sarebbe stato un deputato assenteista perché impegnato nella ricostruzione del Movimento sui territori. Preferisce quindi “entrare dalla porta principale” candidandosi nel 2023.
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Il secondo dato politico che si può trarre da questo diniego è la mancata saldatura dell’alleanza PD-Cinque Stelle. Infatti Giuseppe Conte candidato nel collegio di Gentiloni e Gualtieri sarebbe stato più di un accordo politico: quasi una simbolica fusione fra le due forze politiche.
Niente di tutto ciò è avvenuto e adesso la domanda che sorge è: PD e Cinque Stelle sono sempre così vicini?