Internet è pieno di consigli su come passare le giornate in questo solitudine forzata. Si parla molto di come occupare il tempo, seppur poco delle conseguenze psicologiche che tutto questo può causare. Serie tv, libri, film, attività ricreative, sportive, culinarie e…poi qualcosa di molto più “stravagante”.
La campagna pubblicitaria in Malesia
Gira sul web e spicca, per originalità sicuramente, una recente campagna pubblicitaria del governo della Malesia. Si tratta di una serie di immagini sessiste che dice alle donne sposate come comportarsi in casa coi propri mariti. Devono truccarsi, vestirsi come per uscire fuori e, soprattutto, non devono infastidire i mariti o essere “sarcastiche” nel chiedere a loro di fare qualche lavoro domestico.
Dopo la pubblicazione, la campagna è stata criticata e ridicolizzata e il governo ha provveduto a toglierla.
Il sessismo non va in vacanza, neanche in una situazione così drammatica e difficile per chiunque. No, le donne continuano ad essere discriminate e colpevoli. Guai a trascurarsi e venire a meno al proprio dovere femminile di essere in ordine e disponibili.
Ancora una volta si dice alle donne come devono comportarsi. Non interessa se stanno male, l’importante è che non diano fastidio al marito. Perché si sa: è colpa delle donne se i mariti si arrabbiano o usano la violenza.
Intanto in Italia…
La situazione sta diventando drammatica per chi si trova a vivere in una situazione di violenza: non sono pochi i casi di femminicidio denunciati e portati agli onori della cronaca in questi giorni di clausura forzata.
C’è da dire, però, che la narrazione di questi continua ad essere fuorviante ed errata: non si tratta di “raptus”, “esasperazione” o “dramma da convivenza forzata“. Il femminicidio non è una conseguenza di questa convivenza forzata, ma è la conseguenza del ciclo della violenza. Qualcosa di deviante che esisteva tra quelle quattro mura già prima.
Basta con la romanticizzazione e la minimizzazione delle violenza: non è giusto descrivere il carnefice come una persona “esasperata” e “disperata”. Basta giustificare la morte delle donne.
Dietro un femminicidio c’è una vita fatta di violenza.
Articolo a cura di:
Sara Najjar
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