Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta dell’Italia, regione per regione, attraverso i libri. Lo abbiamo cominciato il mese scorso con consigli di libri ambientati nel Nord Italia (trovate qui la prima e la seconda parte)
Questo mese è la volta dell’Italia Centrale. Lasciatevi guidare dalle pagine dedicate a Marche, Umbria, Toscana, Lazio e Abruzzo con un punto di vista diverso dal solito. Buon viaggio!
In Toscana con “Acciaio” di Silvia Avallone
“Cosa significa crescere in un complesso di quattro casermoni da cui piovono pezzi di balcone e di amianto, in un cortile dove i bambini giocano accanto a ragazzi che spacciano e vecchie che puzzano? […] in un posto dove è normale non andare in vacanza, non andare al cinema,non sapere niente del mondo, non sfogliare i giornali, non leggere i libri e va bene così?”
“Acciaio”, con uno stile allo stesso tempo asciutto e poetico, parla della periferia di Piombino (provincia di Livorno), dove “da una parte c’è il mare, dall’altra il muso piatto dei casermoni popolari”, e in estate “il mare e i muri di quei casermoni sembrano la vita e la morte che si urlano contro”. Qui la vita ruota intorno alla Lucchini, l’acciaieria con la torre nera che “digerisce, rimescola, erutta” e le ciminiere “che sbuffano fuoco come i draghi”; dove “il cielo è una voliera in cui giravano i bracci delle gru, gialli, verdi, tonnellate di metallo vorticavano come uccelli”. La vita della fabbrica e quella dell’uomo sono legate crudelmente a doppio filo: la fabbrica dà il lavoro e insieme dà, troppo spesso, la morte.
In questa realtà si dipana la storia di due adolescenti, che si muovono tra adulti violenti, frustrati, resi mediocri da attività illegali; Acciaio è una storia di amicizie, di amori, di miserie, di sogni infranti, di speranze e fallimenti. Si toccano tanti temi: la morte sul lavoro, la violenza domestica, la prostituzione minorile, l’omosessualità. Tante le storie e tanti i personaggi, ognuno ben caratterizzato: tutte vite che si trascinano all’ombra della fabbrica di acciaio, che ammanta tutto con il suo pulviscolo che satura l’aria. .
Le due protagoniste sono descritte magistralmente in ogni loro piccola sfaccettatura. Alla fine della lettura sembra di conoscere ogni centimetro del loro corpo e ogni loro più piccolo pensiero. Diventano come due di famiglia, in un certo senso.
Nelle Marche con “La rampicante” di Davide Grittani
Davide Grittani, descrivendo i Graziosi, dipinge famiglia della provincia marchigiana solcata da una crepa di omertà: da una da una parte sor Cesare e la figlia Isabella, temuti e detestati dai compaesani e incapaci di riscattarsi, dall’altra Riccardo e Edera, alleati di risalita, anime estranee gettate in un mondo dove la regola principale è “homo homini lupus”.
Nel romanzo di Davide Grittani, le Marche non agiscono da sfondo ma da soggetto vivo, organicamente collegato alle vite dei protagonisti. I luoghi sono palpabili, vivi: dalle Marche non si scappa, e chi ci prova, come il povero Tabacco, vi ritorna suo malgrado, senza alcun conforto di gratitudine. Un libro scorrevole e crudelissimo. Una lettura consigliata a tutti, soprattutto a chi crede di sapere già abbastanza e a chi non teme di guardare in faccia il lato oscuro dell’umanità.
In Umbria con “Chiara di Assisi. Elogio della disobbedienza” di Dacia Maraini
“Chiara di Assisi, elogio della disobbedienza” è un libro potente, che indaga gli aspetti umani e caratteriali del personaggio di Santa Chiara, ma che si addentra anche in quelli storici. La Maraini entra nel vivo del soggetto con un escamotage: ovvero finge di essersi fatta coinvolgere da una giovane Chiara che voleva una interpretazione della scrittrice, per capire meglio lei stessa il personaggio della santa sua omonima.
La scrittrice riesce a farci conoscere Chiara perfettamente: è in grado di farci vivere quei corridoi silenziosi di pietra, quella determinazione inflessibile, quella fede testarda e rinnovata ogni giorno, con grande rispetto ed emozione. Riesce a farci respirare l’aria medioevale dell’Assisi del 1200, facendocela immaginare in maniera precisa grazie alla protagonista che ci si muove dentro.
Anche se lontana mille leghe dal nostro mondo, Chiara d’Assisi viene presentata in maniera così umana, con le sue fragilità e la sua grandezza, da diventare una donna moderna, un’antesignana che non avvizzisce nelle asfissianti regole per le donne del suo tempo ma trova, nella sua prigionia scelta, l’unico modo di imporre la sua visione del destino umano.
In Lazio con “La profezia dell’armadillo” di Zerocalcare
Esiste un’epica delle periferie, un’epica del territorio che può diventarne anima pulsante, regalando ai suoi abitanti un nuovo punto di vista. Di quest’epica è esempio caratteristico l’opera di Zerocalcare, “La profezia dell’armadillo”, che è diventato anche un film. Il fumetto, intriso di ironia e allo stesso tempo di dolore e crisi esistenziali, in questo racconto Zerocalcare rivive un periodo della sua adolescenza immancabilmente affiancato da un armadillo, personificazione della sua coscienza, compagno di vita e guida spirituale. Lo sfondo, animato e vivo, è Rebibbia, la periferia di Roma alla quale l’autore con attenzione, perizia, ironia e intelligenza riesce a dare una voce.
Zerocalcare, quasi come un Pasolini del 2000, è riuscito a narrare le periferie attraverso un altro sguardo, valorizzando il suo quartiere, Rebibbia, e diffondendo il messaggio a tutte le periferie urbane.
In Abruzzo con “L’Arminuta” di Donatella Di Pierantonio
Donatella Di Pietrantonio è una scrittrice abruzzese nata ad Arsita, sotto il Monte Camicia, sul versante teramano del Gran Sasso d’Italia. In questo romanzo batte forte il cuore di un Abruzzo arcaico e primitivo dell’entroterra di qualche decennio fa: scorrendo le pagine del libro è possibile scorgerne i colori, annusarne gli odori e quasi percepirne i rumori. Una terra aspra ma accogliente, dura ma luminosa.
Nel dialetto abruzzese, luogo dove il libro è ambientato, arminuta significa la ritornata. A tal proposito, è interessante notare come, in questa storia, il verbo ritornare possa avere due significati diversi: tornare nuovamente in un luogo dove si è già stati o restituire; è proprio questo che succede alla protagonista senza nome del romanzo: ritorna nel luogo d’origine perché è stata restituita, abbandonata due volte.
“L’Arminuta” ha un retrogusto dolceamaro: sa di perdita, di dolore, di bugie, di resistenza, di sorellanza. Ci si accorge solo alla fine di star salutando una protagonista di cui non ho mai saputo il nome: questa consapevolezza che mi ha colpita in maniera dolorosa; nel suo anonimato si può leggere il suo smarrimento, la sua incertezza. Spostata come un pacco postale, senza radici, senza madre pur avendone due, orgogliosa e ferita, disperatamente desiderosa di affetto, di appartenenza.