La mente è un labirinto in cui ci si può perdere molto facilmente. Per ogni strada dritta, un’infinità di vie secondarie, scorciatoie, vicoli ciechi. Cosa accadrebbe, però, se ci cercasse di dare un nome a queste strade, di rivestire lo sterrato con l’asfalto? Se ci fosse la possibilità di catalogare le persone in base alle proprie inclinazioni e abilità, ne saremmo affascinati o intimoriti?
E se, addirittura, esistesse una scuola che divide gli studenti in base al proprio potenziale raggruppandoli in sedici tipi psicologici?
È proprio ciò che ha immaginato l’autrice Silvia Lodini nel suo romanzo L’alfabeto della mente (BookTribu, 2017). Nata a Bologna nel 1992 e laureata in Lettere moderne presso l’università Alma Mater Studiorum, si occupa di insegnamento ed editing. Con L’alfabeto della mente, suo romanzo d’esordio, ha vinto la seconda edizione del concorso indetto da BookTribu per le opere inedite. Nel 2019 ha pubblicato con la stessa casa editrice il suo secondo romanzo, Alice non esiste.
Ciao, Silvia, grazie per aver accettato quest’intervista. Da cosa nasce la tua passione per la scrittura?
Ho sempre scritto, sin da quando ero bambina. Ricordo di aver provato l’ebbrezza di prendere per la prima volta la penna in mano e scrivere un racconto alle elementari, dopo aver letto il primo romanzo di Harry Potter. Da quel giorno non ho più smesso. Mi è risultato quindi naturale continuare i miei studi laureandomi in Lettere. Adesso sono un’insegnante e mi occupo anche di editing e copywriting.
Ci parleresti del percorso che ti ha portato alla stesura del romanzo?
L’idea di scrivere questo romanzo mi è venuta all’improvviso. Mi sono sempre interessata alla psicologia, e inoltre tendo spesso a tipizzare le persone. Mi piace l’idea che ognuno possa rispecchiare una categoria particolare. Venni a conoscenza dei tipi psicologici di Carl Gustav Jung quasi per caso, chiacchierando con un’amica. Da lì iniziò a balenarmi in testa l’idea di una scuola nella quale gli studenti sono divisi in tipi psicologici. Nel periodo in cui iniziai a scrivere il libro ero molto spaventata da cosa potesse riservarmi il futuro. Questa paura per l’ignoto l’ho riversata poi nel romanzo, in cui aleggia costantemente un clima d’incertezza e negatività verso il futuro.
Perché una scuola? Beh, sono un’insegnante. La scuola fa parte di me.
C’è una traccia di te nei protagonisti?
Ogni personaggio che s’incontra nel corso della lettura ha almeno una parte di me. Questo è aspetto è riscontrabile soprattutto nel protagonista, cui ho trasmesso una buona parte della mia personalità. L’idea di rendere il personaggio principale un maschio è stata infatti quasi una necessità, dettata dal fatto che avrei rischiato di essere troppo coinvolta da un punto di vista emotivo.
Ogni capitolo del romanzo inizia con una poesia. Puoi spiegarci il motivo?
Il protagonista del libro scrive in un mondo nel quale non esistono più né gli scrittori né le letteratura. È una sorta di omaggio alla poesia, in una realtà distopica in cui pare non esservene più traccia. Inoltre il personaggio principale vive un’infatuazione che lo porta ad idealizzare la ragazza di cui crede di essere innamorato. Questo aspetto mi ha subito rimandato alla donna-angelo posta su di un piedistallo e, di conseguenza, alla poesia.
Cosa ti ha spinto a partecipare al concorso di BookTribu?
Ho sempre desiderato pubblicare un romanzo. Durante la presentazione di un libro venni a conoscenza di questo concorso e decisi di provare a partecipare. E alla fine vinsi la tanto agognata pubblicazione. Per la stessa casa editrice ho poi pubblicato anche un secondo romanzo, Alice non esiste.
Stai lavorando a qualcos’altro?
Sto portando avanti più progetti. Ho ripreso la stesura di un romanzo iniziato nel 2013. Sono dell’idea che una storia abbia anche bisogno di essere lasciata lì a crescere, a maturare lentamente nella mente. È una tecnica che ho utilizzato anche per L’alfabeto della mente.
Dall’anno scorso sto invece lavorando alla scrittura di un romanzo a quattro mani.
Giuseppe De Filippis
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