Alessandra
Racconti Brevi

Je te salue Paris – La storia di Alessandra

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Alessandra partì lasciandosi tutto alle spalle: gli amici, l’amore, la famiglia e la forza dell’abitudine. Parigi l’accolse nelle sue fredde giornate invernali, quelle giornate in cui presto arrivava il buio e le folate di vento le sbattevano in faccia il freddo come uno schiaffo. Di sera, tornando a casa da lezione, sbirciava negli appartamenti illuminati dei palazzoni di Rue Nationale, che tanto erano in contrasto con il resto dell’architettura parigina, cercando di scorgere attraverso le pieghe delle tende colorate quel calore domestico che a lei mancava tanto. 

Forse l’idea di avere preso in affitto un monolocale non la convinceva più tanto poiché tornare a casa senza trovarvi nessuno interessato a sapere come si era svolta la sua giornata la avviliva parecchio. Cenava da sola, lavava i piatti e aspettava la chiamata del suo ragazzo lontano e poi contava. Contava quanti giorni sarebbero passati prima di poterlo rivedere e riabbracciare. In certi momenti si dimenticava quasi quale fosse il suo odore e cosa lei provasse quando lui dolcemente le accarezzava i capelli. Non chiedeva più di tanto, probabilmente le sarebbe semplicemente bastato poterlo guardare senza uno schermo dello smartphone di mezzo, rimanendo in silenzio, scorgendo le sfumature dei suoi splendidi occhi verdi.

Alessandra si sentì stupida all’inizio del suo Erasmus. Stupida per non riuscirsi a godere appieno l’intensità che quel periodo della sua vita le stava offrendo. Si comprò un quadernetto blu nel quale scrivere poesie. Le sembrò questo l’unico modo per riuscire ad esternare la malinconia che aveva prosciugato tutto il suo entusiasmo. Nelle lunghe giornate invernali passate chiusa fra quelle mura inospitali sperò nell’arrivo di un temporale, l’unico espediente che le avrebbe dato un motivo per rimanere a casa da sola. Probabilmente i tuoni e i lampi l’avrebbero aiutata a celare il frastuono che i pensieri le provocavano nella testa. Sì, perché in quel piccolo monolocale da pochi metri quadri c’era tanto silenzio: un po’ per i doppi vetri della finestra che sembravano isolarla alla perfezione dal mondo esterno, un po’ per la sua solitudine.

Alessandra

Alessandra però dovette anche mettere la tristezza e lo sconforto da parte e rimanere con i piedi e la testa ben saldi a terra per riuscire a svincolarsi tra le infinite pratiche burocratiche à la française, ma soprattutto per  portare avanti la sua missione da studentessa Erasmus: studiare e continuare le sue ricerche.

Stava bene all’università, i corsi le piacevano e i professori le sembravano molto competenti. Era talmente desiderosa di tenere la mente al riparo dalla malinconia che avrebbe voluto avere più ore di lezione rispetto a quelle che già aveva. Così si chiudeva in biblioteca a spulciare, fra gli scaffali impolverati, quelle vecchie riviste francesi di critica cinematografica come i Cahiers du Cinema o Positif. La sera, poi, tornava a casa e solita routine: cenava da sola, lavava i piatti, aspettava la chiamata del suo ragazzo e contava.

Alessandra ci mise un po’ a stringere amicizia a Parigi. Da subito constatò l’impossibilità di riuscire a farsi degli amici francesi per un solo e semplice motivo: i suoi compagni di corso non le ricambiavano mai il saluto nei corridoi della facoltà. Inizialmente non capiva se questo fosse un problema suo o un problema loro, sta di fatto che giorno dopo giorno si trovò a legare con altri ragazzi e ragazze italiani. Col tempo iniziò ad uscire un po’ di più, la sua permanenza a Parigi finalmente sembrò prendere la piega giusta. Iniziò ad andare alle feste, a divertirsi giocando a beer pong senza birra ma col whisky low cost e a conoscere gente proveniente da tutto il mondo.

Da un certo punto di vista rimase affascinata da questo mondo che le sembrò essere veramente quello che lei desiderava, ma allo stesso tempo riteneva sconcertante l’abilità che aveva in certe serate di rivelare così profondamente se stessa a completi sconosciuti. Forse era l’alcol e la conseguente assenza di freni inibitori che la spingevano a confidarsi esprimendo le sue più celate paure  a persone che probabilmente non avrebbe mai più rivisto per il resto della sua vita. 

Nella maggior parte dei casi, queste serate finivano molto tardi, perciò spesso si ritrovò costretta a prendere l’autobus notturno per tornare a casa, dato che la metro era già chiusa da un bel pezzo. Nel tragitto che la conduceva a Place d’Italie, il punto più vicino per raggiungere a piedi casa sua nonostante le richiedesse venti minuti di camminata, si chiese svariate volte come fosse possibile che quei maledetti noctiliens fossero così tanto pieni di gente anche nelle notti infrasettimanali. In parte, questo la rincuorava perché si sentiva meno sola, ma allo stesso tempo si ritrovava circondata da persone sole a loro volta, con le quali non scorgeva alcuna possibilità di contatto umano.

Alessandra si sentì diversa dai suoi amici italiani che erano a Parigi: a differenza loro, le sembrò di non riuscire mai a godersi quella città nella maniera giusta. Ma esiste forse una maniera giusta di vivere in Erasmus? Da ciò che leggeva in continuazione sui social media a proposito di questo tipo di esperienze, le sembrò di andare verso il periodo più gioioso della sua vita, ma in realtà una volta andata via dall’Italia dovette assumersi le prime responsabilità della vita adulta: aprire un conto in banca, fare le volture delle utenze domestiche, spedire raccomandate, ma soprattutto cavarsela in una lingua che non era sua. Sì, è vero che il francese lo aveva studiato per tanti anni, ma ritrovandosi in questo tipo di situazioni le sembrò di essere stata catapultata in un altro mondo, perché non ci capiva proprio niente! Ciò che si ricordava dai libri di grammatica era completamente diverso da quello che si ritrovò a (re)interpretare nel caos della Ville Lumière.

 

Alessandra

Come tutte le esperienze, belle o brutte, anche quel semestre all’estero per lei terminò. Nel tragitto della RER che dal centro della città l’avrebbe riportata a Charles de Gaulle per il suo viaggio di ritorno, Alessandra ripensò a tutto quello che stava lasciando in quella città. Aveva passato tanto tempo da sola, ma senza di quello non avrebbe mai capito quali fossero le sue esigenze e le sue priorità, nonostante la visione che aveva della sua vita futura sembrava risultare ancora ben poco nitida.

La maestra Parigi le aveva insegnato a fare i conti con se stessa e le giornate passate a gironzolare malinconicamente per i boulevards in solitaria scattando foto ai passanti con una Minox regalatale dal padre, forse, erano stati i momenti più densi di vita che lei avesse mai vissuto. Aveva imparato a cavarsela senza l’intervento di alcuna manna dal cielo e soprattutto a bastarsi, senza avere per forza bisogno di gente intorno a lei per sentirsi bene.

Durante le sue infinite derive ripensava spesso al film “Into the wild” di Sean Penn nel quale si era imbattuta quando ancora era al liceo e che, sebbene l’avesse visto soltanto una volta, riuscì veramente a scavarle nella coscienza e a lasciarle qualcosa di profondo. Il messaggio della pellicola e, che per tanto, forse troppo tempo, le risuonava nella testa è che la felicità è reale solo quando condivisa. Alessandra non era più tanto convinta di questo. Pensò che sì, poteva essere vero in certi momenti della vita, ma ripensando alla sua ormai terminata esperienza capì che non avrebbe voluto condividere certi momenti se non con se stessa.

 

Isabella Calderoni

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Isabella Calderoni
Bolognesità doc, garbo e pazienza caratterizzano Isabella since 1994. Ex-studiosa di cinema e di nuovi media, sogna di realizzare documentari con filmati d'archivio in maniera indipendente.