Serve l’agilità di un’equilibrista su una pertica oleata per navigare nella cronaca politica di questa settimana.
Arriviamo dalla tragedia di Stresa che ci ha sbattuto di fronte all’avidità umana contro la quale però, lo stato di diritto, ha preferito procedere in un modo diverso da quanto l’opinione pubblica si aspettava; passando poi la notizia della condanna di Nichi Vendola nel processo Ilva e giungendo agli atti di “protesta” contro il libro di Giorgia Meloni.
Nichi Vendola: come bruciarsi la storia politica in un video
In odor di tragedie Ilva: è arrivata la prima sentenza sul disastro ambientale a Taranto. La notizia che ha fatto più clamore è la condanna a tre anni di carcere per concussione aggravata all’ex presidente della Puglia Nichi Vendola. È stato proprio Vendola a orientarne il racconto con un video diffuso su Twitter nel quale ha attaccato pesantemente i magistrati che hanno emesso la sentenza ma non solo: Vendola si è spinto addirittura oltre definendo la magistratura “malata” auspicandone una riforma.
Lo stupore è tanto, bisogna ammetterlo. Nichi Vendola non è il signor nessuno, rappresenta qualcosa nella politica italiana. In un’epoca non lontana è stato una figura di riferimento per la Sinistra portando avanti valori ben precisi. Uno tra questi era proprio il rispetto della magistratura stigmatizzando i molti attacchi che Silvio Berlusconi sferrò nei confronti dei giudici che lo accusavano di diversi reati.
Proprio questo passato di Vendola rende inspiegabile la dura reazione alla sentenza di primo grado. Se è convinto di aver agito in altro modo c’è l’appello per poterlo dimostrare; se poi anche il secondo grado dovesse portare a una sentenza che ritiene ingiusta c’è la Cassazione. Nulla vieta a Vendola di portare avanti le sue ragioni, ma non facendo la parte di chi grida al complotto. Magari anche a ragione ma il cortocircuito che si innesca è qualcosa d cui possiamo fare a meno.
Il derby “garantismo vs giustizialismo” è un’imbarazzante semplificazione che francamente poco ha a che fare con lo spessore culturale di Vendola. Per quanto si possa essere scossi da una notizia travolgente come può esserlo una condanna, bisognerebbe tenere presente cosa si rappresenta; che non vuol dire accettare qualunque cosa ma lottare nel modo giusto.
Il libro capovolto: quando il diritto di critica mina la libertà di espressione
Rimanendo nel campo dei diritti continua a provocare reazioni il libro di Giorgia Meloni: un altro tema che ci pone una riflessione quasi filosofica. Un libro è un libro, può essere letto o lasciato sullo scaffale; può anche contenere ricostruzione false. Ma è giusto maltrattarlo fisicamente?
Qui entra in gioco una libertà costituzionale: la libera espressione che rappresenta uno dei pilastri dello stato democratico. Un libro può essere criticato, opinato; ricevere un contro canto o addirittura portato in tribunale se si pensa possa contenere violazioni di leggi. Quello che non si può fare è impedirne la lettura, la diffusione mettendo in campo azioni di sfregio come mettere il libro a testa in giù. Se poi ti chiami “Liberi saperi critici Venezia” la cosa più sbagliata da fare è impedire il dibattito critico con un blitz del tutto insensato. Capovolgere un libro non è un atto di critica, anzi: lo rende ancora più visibile agli occhi degli avventori. Il libro di Giorgia Meloni sarebbe potuto tranquillamente passare in sordina come accade a molti altri libri scritti da politici. Oltretutto l’autrice non è in campagna promozionale: a parte due interviste televisive la Meloni sta continuando a interpretare il ruolo che ha sempre svolto. Forse sapeva di poter contare sui detrattori per la promozione del libro.
A parte questa congettura la questione può essere molto seria: l’assenza di spirito critico appare più come oscurantismo che come contro canto a un libro che sicuramente può essere oggetto di critica ma che non può essere oggetto di sfregio.
La settimana che ci stiamo mettendo alle spalle può esserci molto utile per riflettere sui diritti degli altri. Stresa, Vendola e infine Meloni ci pongono di fronte una questione spesso sottovalutata: quanto siamo disposti a scendere a compromesso fra i nostri convincimenti e le regole comuni?