Ci siamo sempre domandati cosa mai abbia spinto l’uomo a procurarsi ferite di ogni tipo, soprattutto in periodi particolari della propria esistenza, in cui la sofferenza è alla ricerca di un dolore fisico come via di fuga temporaneo. Lesioni, tagli, graffi, tutto ciò che moralmente sembra sia sbagliato, possiamo constatare che, attraverso studi antropologici messi in confronto con l’arte contemporanea, ci ha portati ad una risposta.
Le ferite del sé
David Le Breton ne ‘’La pelle e la traccia- le ferite del sé’’ spiega come la pelle diventa strumento su cui creare una nuova identità, mezzo per fuggire dal mondo. Si tenta di provare dolore fisico per evadere da una sofferenza interiore. Anche gli stessi piercing e tatuaggi, oggi molto in voga, sono tracce di trasformazione del proprio essere. Ma precisamente, chi si procura lesioni più acute, inconsciamente, pratica una sorta di rituale di purificazione.
“Per partorire il sé, a volte, è necessario rischiare di perdersi […]“
Il corpo: mezzo di denuncia
Un’ indagine approfondita non solo sul rapporto individuo- società, ma applicato anche nell’arte contemporanea, come nel caso della performance art. Si abbandona il mezzo tradizionale (pittura, scultura, fotografia), per reagire drasticamente alla chiusura mentale della cultura austriaca del Dopoguerra. Oggetto è il proprio corpo per denunciare, appunto, una mistificazione della sofferenza. Tabù che diventano espressioni artistiche, quelle avvenute nel 1962 con l’Azionismo Viennese, dove si rapporta un’estetica violenta ad una liberazione istintiva alle convenzioni sociali. Artisti come Rudolf Schwarzkogler, Vito Acconci, Hermann Nitsch e molti altri, hanno usato il loro corpo, fluidi, suture, mutilazioni, bendaggi, riscoprendo la primitività e l’istinto che albergano in noi.
Il sangue, il rito, la riflessione
Ana Mendieta e Gina Pane invece, rivendicano la loro femminilità attraverso l’autoafflizione come sfida alla resistenza dei limiti umani. L’uso del sangue e di azioni intime creavano occasione di critica sociale, affinché numerose performance non vennero terminate per la loro pericolosità.
Il dolore fisico viene visto da questi performers come ritualità di passaggio, legato alle proprie culture e al proprio vissuto, pagandone anche conseguenze spiacevoli. Coscienza e sensibilità sono gli elementi che tendono ad essere scaturiti da parte di un pubblico ancora assuefatto dalla propria moralità. Perciò, l’ arte con tutte le sue sfaccettature, seppur violenta all’impatto, tende in ogni modo, ad ampliare allo spettatore una visione diversa dal proprio consueto.