Nella storia della letteratura si parla poco di donne. Grandi assenti ingiustificate nei programmi scolastici, se non per rare eccezioni, alle loro opere non è mai stato dato il giusto riconoscimento.
Questo agli occhi di molti viene giustificato da un banale: “Non ci sono perché non sono mai esistite”. Una visione che si dimostra tanto misogina quanto fallace perché la realtà è un’altra: le scrittrici/potesse sono esistite, da sempre.
Le loro parole e i loro versi difficilmente però sono sopravvissuti a una cultura patriarcale e misogina che a lungo (e in parte ancora oggi) le ha cancellate e annullate non solo nel ricordo ma anche fisicamente.
Ce ne sarebbero molte (alcune delle quali probabilmente ancora oggi sconosciute) ma oggi per la rubrica “Le venti donne dimenticate dalla storia” abbiamo deciso di parlare di lei: Isabella di Morra.
L’illusione dell’infanzia
Isabella di Morra fu uccisa ma in realtà non le fu mai concesso di vivere realmente.
Nata da una nobile famiglia della provincia di Teramo in anni (i primi del XVI secolo) in cui pieno potere sulle donne lo avevano i famigliari, di Morra cresce comunque, per i suoi primi anni, serena. Il padre (figura a lungo evocata nei suoi scritti) infatti la educa alle lettere e alla poesia, portandola ben presto a sviluppare il suo spirito critico così vivo nei suoi componimenti. La realtà però ben presto cambia.
Siamo infatti nel ‘500 e gli scontri che videro contrapporsi Carlo V d’Asburgo con Francesco I di Francia costrinsero il padre, alleato dei francesi, a riparare a Roma a seguito della vittoria ottenuta da Carlo per il possesso del regno di Napoli.
Isabella di Morra rimase così sola e in balia di coloro che ne decretarono la sua condanna.
La prigionia e la poesia per (r)esistere
I fratelli non capivano di Morra, una donna che ben poco aveva in comune con loro e con la figura di donna-manichino che avevano in mente. Ben presto dunque l’assenza del padre portò all’incrinarsi dei rapporti fino alla tragica scelta: i fratelli la rinchiusero nel castello di Favale.
Negata alla vita la giovane trovò sostegno nella scrittura. Nascono quindi così le composizioni di Isabella di Morra: tentavi di evasione (almeno poetica) prima, conforto poi. Si costituisce allora un canzoniere unico per il ‘500: il secolo in cui il petrarchismo dominava la scena poetica. Difatti l’opera di Morra, pur risentendo degli influssi di Petrarca, non si può sintetizzare come semplice tentativo di imitazione. C’è molto di più.
Nei versi della giovane infatti si aprono le piaghe di un doloro vissuto e reale. La poesia diviene autobiografica perché è in lei che la vita dell’autrice trova sua prima possibilità di essere.
I traumi e l’isolamento si percepiscono nel racconto di una vita “frale”, ovvero un’esistenza incerta e insicura perché sotto controllo di una “fortuna” crudele e dei rozzi fratelli.
“Poscia che al bel desir troncate hai l’ale,
che nel mio cor sorgea, crudel Fortuna,
sì che d’ogni tuo ben vivo digiuna,
dirò con questo stil ruvido e frale
alcuna parte de l’interno male5
causato sol da te fra questi dumi,
fra questi aspri costumi
di gente irrazional, priva d’ingegno,
ove senza sostegno
son costretta a menare il viver mio,10
qui posta da ciascuno in cieco oblio.Tu, crudel, de l’infanzia in quei pochi anni
del caro genitor mi festi priva,
che, se non è già pur ne l’altra riva,
per me sente di morte i grevi affanni.15
ché ’l mio penar raddoppia gli suoi danni.
Cesar gli vieta il poter darmi aita.
O cosa non più udita,
privar il padre di giovar la figlia!
Così, a disciolta briglia
seguitata m’hai sempre, empia Fortuna,
cominciando dal latte e da la cuna. ”
-Poscia che al bel desir troncate hai l’ale (V.V 1-10)
La sua poesia però non è resa.
Nei componimenti la sua voce non si arrende mai alla realtà del mondo circostante ma, prendendone atto, ricerca quell’ideale di bellezza che il mondo attorno sembra averle negato e anche quando ogni speranza è persa è la religione a rappresentare un baluardo di luce.
È una rivolta silenziosa. Una rivolta che purtroppo ne decreterà la morte.
Una condanna senza appello
Nel corso della sua prigionia Isabella di Morra inizia un fitto carteggio con il poeta Don Diego Sandoval de Castro. Quest’ultimo rappresentava l’ultimo contatto con la realtà esterna della giovane e tanto basto perché i fratelli prendessero una scelta. Isabella esercitava attraverso la scrittura una forma di resistenza? Isabella doveva essere eliminata.
Adducendo come scusa una relazione tra i due (mai in realtà verificata), la ragazza venne colpita a morte dopo che la stessa fine era toccata al suo maestro. Ad essere colpito fu poi subito il suo presunto amante che, guarda a caso, era anche un avversario politico dei fratelli.
Isabella di Morra moriva così due volte: la prima uccisa dalla follia misogina, la seconda dalla volontà di farne oggetto per i propri scopi politici.
Ciò che segui alla morte di Elisabetta è storia: la storia di molte donne vittime di violenza. Fu molto presto dimenticata mentre uno solo dei suoi fratelli pagò una pena irrisoria per la morte di Don Diego.
Per molto tempo di lei non si parlo più: fu dimenticata dalla storia. Fu solo nel ‘900 che Il filosofo e critico letterario Benedetto Croce riporto l’attenzione sui suoi scritti ma questo non fu tuttavia sufficiente. Ancora oggi infatti pochi conoscono la sua storia e il suo nome, come quello di tante altre poetesse, è cancellato dai libri di scuola. Per questo ricordarle è ancora oggi doveroso.
Miriam Ballerini
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