Damiano Leone è nato a Trieste nel 1949. Di formazione chimico, da oltre un trentennio si dedica allo studio della storia antica, dell’arte e della letteratura classica. Dopo il suo ritiro dall’attività lavorativa, ed essersi trasferito in un paesino montano del Friuli, ha potuto trovare il tempo e la serenità per realizzare un’antica ambizione: quella di dedicarsi attivamente alla narrativa. Pubblica: “Enkidu” (Leucotea, 2012), “Lo spettatore” (Leucotea, 2015), “Il simbolo” (GCE, 2018) e “Il Guaritore” (GCE, 2020).
Di cosa parla il suo ultimo romanzo Il Guaritore?
«Si tratta di un romanzo complesso, di grande respiro e tensione ideale che collega avvenimenti di fondamentale importanza avvenuti duemila anni fa a un prossimo futuro. Si ipotizza che già ai giorni nostri, nel tentativo di arrestare il continuo declino della spiritualità e approfittando di una recentissima scoperta che rende possibili i viaggi nel tempo, con l’approvazione di papa Francesco si decide di iniziare un progetto segretissimo per inviare un uomo nel passato con l’intento di testimoniare la morte e resurrezione di Gesù di Nazareth. Trascorre qualche anno e l’esperimento viene avviato e riesce ma, con grande sorpresa di tutti, tornando al presente il primo crononauta porta con sé un individuo che potrebbe essere proprio il fondatore del cristianesimo. Per forza di cose, un tale evento non solo provoca grande scompiglio tra i maggiori poteri che governano il nostro pianeta, ma scatenerà forze che si daranno battaglia con l’intento di indirizzare, a volte con fini opposti, il futuro sviluppo etico e sociale del genere umano».
Qual è il messaggio che ha voluto veicolare attraverso la sua opera?
«Semplice: ritengo che le cose su questo mondo andrebbero assai meglio se gli uomini decidessero di vivere assieme con pacifica e amichevole tolleranza, rendendosi finalmente conto che la nostra sopravvivenza non può essere basata sulla cieca competizione voluta dalla natura, ma nella collaborazione sulla quale si dovrebbe edificare qualsiasi società eticamente sana. Perché, se non lo faremo, proprio per l’incapacità di gestire equamente tecnologia, risorse e diritti umani, il nostro destino futuro potrebbe essere segnato in modo inequivocabile».
Mark e Jeshua, i protagonisti del suo romanzo, sono due uomini estremamente diversi che riescono a trovare un punto di contatto per comunicare e comprendersi. Vuole parlarci del particolare rapporto che si instaura tra queste due interessanti figure?
«Sì, sono due personaggi molto diversi, eppure per certi versi anche simili. Perché se a prezzo di inenarrabili sofferenze Jeshua conosce alla perfezione la differenza tra Bene e Male ed ha compiuto la sua scelta, fino al suo incontro con lui e a causa di dure esperienze giovanili, Marck è rimasto chiuso in un gelido egoismo che lo isola in se stesso. Eppure, ma non tanto stranamente visto lo straordinario carisma e sensibilità dell’uomo venuto dal passato, prima di essere intellettuale, il loro rapporto si basa sull’istinto. Perfino prima di poter parlare tra loro, ambedue percepiscono nell’altro ciò che ne farà incrollabili alleati in una battaglia che si protrae dall’inizio dei tempi. E se Marck, abbattendo la sua indifferenza per gli altri, salva la vita a Jeshua mettendo a repentaglio la propria, questo lo ripagherà salvandogli l’anima».
Silvie Burton è un personaggio femminile molto intenso. Una ragazza tormentata, con una profonda cicatrice sul viso che indossa come il “marchio di una meritata infamia”. A cosa o a chi si è ispirato per delineare la sua caratterizzazione?
«A innumerevoli persone che, ieri come oggi, e per incapacità di distinguere ciò che è giusto da quello che non lo è, pure volendo fare il bene finiscono con il fare del male a se stesse e agli altri».
Nel romanzo il personaggio di Jeshua afferma che gli uomini possono cambiare e che, pur se il male è radicato profondamente nel mondo, si può ancora combattere e scegliere la strada dell’altruismo e della tolleranza. Il pensiero di Jeshua è anche il suo? Secondo lei c’è ancora speranza per l’essere umano?
«Cambiare si può certamente: o almeno così ho constatato che è accaduto a molti. Sì, naturale che il pensiero del protagonista nasca da mie considerazioni personali: quanto all’interrogativo se ci sia una speranza per il futuro dell’umanità, posso solo invitare a leggere il romanzo e le parole pronunciate da Jeshua per rispondere alla stessa domanda che gli rivolge Silvie».
Cosa l’ha spinta a diventare uno scrittore? Che valore riveste la letteratura nella sua vita?
«Se ricordo bene fu una domanda che mi posi: e cioè se esiste nell’universo una caratteristica che accomuni qualsiasi essere senziente. Poi, dalla risposta che allora mi diedi, nacque il romanzo -Lo spettatore- pubblicato dalle Edizioni Leucotea. Quanto al valore, ritengo che la letteratura in genere sia la migliore opportunità di ampliare le conoscenze sul mondo e gli uomini che lo abitano».
Ha già un’idea di cosa tratterà il suo prossimo romanzo? Vuole condividerla con noi?
«Siccome mi piace scrivere e possiedo una discreta fantasia, le idee sono tante e già abbozzate: ma poiché non è ancora detto che avranno un seguito, non mi sento di ipotecare il futuro».