Inter – Roma: 477 km di distanza, quella tra lo stadio San Siro e l’Olimpico, tra Milano e Roma. Duomo contro Colosseo, un accento morbido, musicale, contrapposto ad uno più ruvido e spigoloso. In campo però, c’è poca Milano e poca Roma. Nei giallorossi in verità qualcosa di autoctono c’è, grazie a Lorenzo Pellegrini, romano di Roma. L’altro romano, Florenzi, è in panca, e non è la prima volta quest’anno. Anche l’Inter hai suoi italiani. Candreva, che – scherzo del destino – è romano e Biraghi, quest’ultimo di Cernusco del Naviglio. Non proprio Milano ma bisogna accontentarsi. Le società appartengono a cinesi ed americani, tra cui i rapporti non sono proprio idilliaci ma finché si parla di calcio è un’altra storia.
Allora per trovare la vera Inter – Roma bisogna uscire dal campo, salire in curva. Dove sciarpe, linguaggi, usi e costumi si fondono. Fino ad un certo punto però: i nerazzurri sono gemellati con la Lazio, (“mortacci”, cit. lupacchiotto). Quindi è allontanandosi, uscendo dallo stadio che la situazione migliora ancora. Bancarelle, salamelle, racconti di viaggi in treno per venire a vedere la magica, aneddoti sull’avvocato Prisco, maledizioni contro la Juventus che – almeno in queste situazioni – riesce a mettere tutti d’accordo. Colorazioni umane che, miscelate, restituiscono il calcio vero, quella della gente comune: 67.800 persone per essere precisi. Di milanese e romanesco poco e niente, almeno fino all’85°. È lì che il meneghino doc viene fuori: fuga dallo stadio prima che suoni il gong. Va bene la beneamata ma siam sempre a Milano, siam sempre di corsa. Il romanista romano resiste, in curva fino all’ultimo. Anche perché ci sono i controlli da rispettare. Scende la notte, il freddo punge, lo 0 – 0 va in ghiacciaia. Meno male che ci sono i tifosi: apostrofi canori tra le parole alè e ooo-oh.
Luca Villari