N.B. Questa intervista è stata fatta in via telematica, nel rispetto del decreto-legge del 23 febbraio 2020, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e del suo allargamento all’intero territorio nazionale del 9 marzo 2020.
Il genere rap, nato nel secolo scorso negli Stati Uniti, ancora oggi divide il pubblico italiano.
C’è chi lo ama e chi lo odia. Chi pensa che siano solo frasi senza senso e chi crede che ad essere senza senso siano solo commenti di questo genere. Quel che è sicuro, però, è che tutti hanno una loro idea in merito.
Ma siamo sicuri di aver davvero compreso il mondo del rap nella sua complessità? Sì, perché il rap non si esaurisce (per fortuna) solo a Fedez, ma è una realtà ben più complessa.
Per cercare di comprenderla meglio almeno in parte, noi di BorderLain abbiamo deciso di intervistare il rapper napoletano Daniele Priore, in arte O’Priò.
Ciao Daniele, grazie per aver accettato questa intervista, come racconti la tua musica a chi non ha mai ascoltato una tua canzone?
“Linkandogli i miei brani! No ovviamente scherzo, anche se sarebbe divertente poterlo fare nella vita di tutti giorno oralmente.
In ogni caso penso sia più giusto dire che è lei che racconta me. Dovresti fare questa domanda ai miei brani.
Dalla mia posso solo dirti che faccio arte seguendo la sua accezione più tipica e genuina. Ovvero esternando un lato dell’io altrimenti inespresso nel tessuto socioculturale circostante.”
Possiamo quindi dire che la tua musica risente molto del contesto in cui vivi? E se è così, in che modo ne risente, o meglio qual è il lato dell’io che senti inespresso dalla società e che riesci ad esprimere con la tua musica ?
“Si assolutamente! Altrimenti sarebbe solo business o comunque un artefatto. Di certo non sarebbe arte. Penso che risenta sopratutto delle imposizioni della società.
Credo infatti che ognuno di noi sia indotto dalla società a rivestire un dato ruolo socio/professionale conseguente ad una determinata formazione didattico/culturale e sociale.
Spesso il ruolo sociale che rivestiamo è opera del tessuto dal quale proveniamo. Ma l’essere umano ha di base le potenzialità (intese in senso assoluto) per andare oltre certi schemi prestabiliti, e chi prende coscienza delle proprie potenzialità tende ad appagare il proprio io nel modo più esaustivo possibile, alimentandolo con quegli elementi che ne accrescono l’energia, la forza, la potenza. Nel mio caso è la musica a ricoprire questo ruolo di potenziamento del mio io. Pertanto a prescindere del ruolo professionale/sociale che ricopro, la musica sarà nella mia vita sempre presente.”
Mi potresti spiegare cosa intendi quando parli di potenzialità?
“Ognuno di noi ha delle predilezioni, del talento, delle doti. Ma viviamo all’interno di un contesto sociale in cui il tempo e le energie dell’individuo sono per la maggior parte sacrificate per lo studio prima e per il lavoro poi. Di conseguenza solo il residuo di quel tempo e di quelle energie viene investito per ciò che prediligiamo, per ciò che amiamo fare, senza filtri e senza compromesso dettato dal bisogno economico (ovviamente questa condizione non vale per chiunque ma per i più).
Chi è conscio di queste dinamiche, tuttavia riesce a perseguire ed alimentare il proprio talento. Praticando ed adoperandosi per ciò che ama, seppur ad intermittenza, seppur in maniera altalenante in base al tempo libero che ha o che riesce a ritagliarsi tra un dovere ed un altro.
Ma esistono anche tante persone, inconsapevoli di certe dinamiche, che guidate dalla necessità di sostentamento abbandonano il proprio io, il proprio essere. Abbandonano quelle potenzialità a cui mi riferivo e che infatti troppo spesso non vengono coltivate ed alimentate in quanto si è forzati dal contesto a focalizzarsi su altro. “
E anche la scelta di un genere come il rap risponde a tale necessità di espressione?
“Nel mio caso sì. Provengo infatti da una delle periferie più degradate ed emarginate dell’hinterland napoletano (Parco Verde di Caivano), e nel rap e nella street poetry ho trovato il giusto conforto per esprimere i disagi e e le inadeguatezze della realtà in cui vivo, esorcizzandole su di un foglio prima e in uno studio di registrazione poi.”
E pensi che nel panorama musicale (e nello specifico in quello del rap) la tua musica possa avere i giusti riconoscimenti o ti sembra sia sempre preferito un genere più commerciale e lontano dal tuo modo di fare musica?
“Il pubblico medio italiano non è costituito, purtroppo, da figure con una particolare capacità critica o con una spiccata intenzione all’informazione, alla conoscenza e alla curiosità. Parliamo quindi di profili che si riconoscono in un genere più leggero che tende alla distrazione più che all’istruzione. Un genere commerciale, di massa.
Per questo motivo in italia non potrai mai affermarsi un genere più impegnato, rap o non rap. E sarebbe utopico pretendere che un progetto musicale come il mio si imponga nel panorama musicale italiano.
Perché questo avvenga sarebbe necessario un’evoluzione culturale e di gusti dell’italiano medio, affinché abbia quello spirito critico percettivo richiesto da un genere come quello del rap impegnato. Ma questo ad oggi mi sembra non possa accadere.”
Ritieni che questo sia un problema solo dell’Italia o in generale del panorama musicale internazionale?
“È prima di tutto un problema italiano ma poi anche un problema internazionale. Per fortuna però ci sono realtà quali quella francese e britannica nel quale un tipo di sonorità reazionario e anticonvenzionale può basarsi su un raggio di audience tale da poter arrivare ad un pubblico più ampio. Inoltre in questi paesi anche la realtà delle etichette indipendenti è più forte che in Italia per cui possono prescindere dai canoni previsti dalle major e dai vincoli che queste impongono agli artisti.”
E secondo te perché c’è questa differenza tra paesi? È un problema culturale o è il mercato della musica che è sostanzialmente diverso ?
” È sia una questione culturale che sociale/politica. Se ad esempio penso agli Stati Uniti il rap, così come tutti i generi hip hop, si è nato forma di protesta politica da parte della comunità afroamericana, e ciò gli ha dà sempre garantito un audience tale da poter imporsi anche al grande pubblico.
Alla base dunque vi è una realtà sociale e culturale totalmente diversa da quella italiana, la quale proviene da una cultura musicale pop e leggera che poco ha a che fare con il genere del rap. Inoltre in Italia vi è una classe politica che non vuole che certi generi troppo espliciti passino in radio. Per questo determinati brani, con un linguaggio e delle tematiche forti, difficilmente si imporrano nei circuiti main stream ancora molto bigotti e quindi difficilmente saranno conosciuti dal grande pubblico”
Per concludere mi potresti parlare del progetto “Barre dei fuochi” e dare qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri?
” Barre dei fuochi è un progetto a cui io ho collaborato ma che non nasce da me. Chi lo ha creato e Dave, collega DJ di Teano, che ha messo a disposizione delle produzioni musicali su cui vari rapper si alternano rappando le proprie strofe. Ad oggi sono stati prodotti quattro video, disponibili su youtube, in cui si alternano quattro gruppi di rapper differenti.
Lo scopo di questo progetto è quello di sensibilizzare in merito alle possibilità artistiche che la provincia Casertana offre, infatti tutti gli artisti provengono da quella zona. La scelta del nome, invece, è dovuta in parte alla volontà di riprendere il concetto di “terra dei fuochi” , ma non solo. Non viene infatti affrontato solo il tema dello sversamento illegale di sostanze tossiche ma in generale dei disagi della realtà che ci circonda,” sputando” quindi fuoco dalla bocca: anche per questo Barre dei fuochi.
Per quanto riguarda ai miei progetti futuri ti posso dire che uscirà un mio progetto a maggio. Il titolo però te lo dico più avanti, magari in una prossima intervista.”