– Come va la tua vita?
– D’incanto. E la tua?
– Non d’incanto.
– Oh, si dice la verità?
Il funerale di un amico morto suicida è l’occasione per un gruppo di ex compagni di college per riunirsi in un weekend uggioso, all’insegna dell’amicizia, tra ricordi, rimpianti, risate e qualche canna. Una trama semplice e spoglia che nasconde il racconto di una generazione bruciata, quella che ha vissuto la contestazione del Sessantotto e che quindici anni dopo si ritrova a vivere quella vita che un tempo tanto criticava.
Il 29 settembre 1983 usciva nelle sale cinematografiche statunitensi “Il grande freddo”, commedia nera americana diventata cult, grazie ad una colonna sonora coinvolgente e ad una storia semplice ma emozionante.
In uno spoglio intreccio, la sceneggiatura di Lawrence Kasdan (anche regista della pellicola) si sviluppa attorno ai dialoghi dei protagonisti, in apparenza scollegati, quasi confusi. Il ritrovo, dopo tanti anni, con le persone che, per un periodo della propria vita, hanno significato qualunque cosa, è l’occasione, per ognuno dei protagonisti, di guardarsi alle spalle e fare un bilancio. Il loro passato è molto simile: studenti universitari protagonisti delle rivolte studentesche del 1968, tra droghe, amore libero e manifestazioni. Il periodo universitario però è solo un vago ricordo. La vita adulta si è messa in mezzo, le priorità sono cambiate. Il fuoco che alimentava le loro ideologie si è spento, è iniziato il grande freddo del titolo: la vita quotidiana fatta di rinunce e compromessi, dove a comandare è l’attaccamento alla vita, lo spirito di sopravvivenza.
“You Can’t Always Get What You Want” cantavano i Rolling Stones: un’amara verità che tutti prima o poi devono affrontare. Il confronto con gli amici e la consapevolezza di essere diventati ciò che detestavano diventano lo stimolo per mettersi in discussione, analizzarsi a fondo per capire quali siano le proprie necessità: “You get what you need”. Nessuna di queste riflessioni viene esplicitata: rimangono nel sottotesto, nascoste nelle parole dei protagonisti.
Ad animare lo scambio di battute tra un personaggio e l’altro è il grande assente della rimpatriata: il suicida Alex. Ricordarlo fa male, non sapere le ragioni per cui l’ha fatto ancora di più. Eppure è necessario per affrontare il lutto, accettarlo e superarlo.
La potenza de “Il grande freddo” è racchiusa in queste riflessioni, universali e senza tempo, nonostante l’esplicita collocazione storica di queste vicende. Tutti abbiamo avuto (o avremo) vent’anni e quell’energia che ci fa sentire invincibili, in grado di conquistare il mondo. Tutti abbiamo avuto (o avremo) quarant’anni: forse con più soldi, sicuramente con meno energia, con qualche sogno realizzato e con qualche altro abbandonato. Si cresce e si cambia, tra soddisfazioni e rimpianti. A non cambiare è ciò che vogliamo: essere sereni, felici e amati.