“Per questa stranezza di carattere mi sono guadagnato la fama di uomo assolutamente senza cuore; quanto immeritata, solo io so”
Un solo romanzo pubblicato, tanto è bastato a Emily Brontë per incatenare il suo nome agli echi immortali della letteratura mondiale. E dire che, quando uscì, Cime Tempestose ricevette un’accoglienza piuttosto mite e non furono risparmiate critiche alla trama e ai personaggi. Oggi, invece, il capolavoro della Brontë è universalmente riconosciuto come romanzo d’elezione della letteratura vittoriana.
Il motivo va ricercato proprio in quelli che furono considerati, all’epoca, i punti deboli dell’opera: trama improbabile, struttura narrativa controversa, elementi sovrannaturali, scene di violenza esasperate.
E, non per ultimi, i personaggi.
Catherine Earnshaw e Heathcliff, il loro amore e i loro conflitti, rappresentano la quintessenza di ciò che è allo stesso tempo essenza e perdita, rifiuto e ostinazione, amore e disincanto. Nella loro guerra tra desiderio e volontà non c’è vincitore, solo anime che si trascinano alla ricerca di un amore invocato, raggiunto e, infine, massacrato.
Questa, infatti, è la storia di un massacro portato avanti da chi è al contempo vittima e carnefice: Heathcliff.
Il suo affetto per Catherine nasce sin da bambino, ma l’amore cresce di pari passo col suo carattere brutale, selvaggio, eccessivo. E l’amore che sviluppa non può essere che una naturale estensione della sua indole.
Heathcliff esacerba tutto ciò che prova. L’amore abbraccia la gelosia, la gelosia tende la mano alla vendetta. E ci regala bagliori incandescenti di un amore la cui fiamma distrugge ma non consuma, riscalda ma non illumina.
La passione di Heathcliff porta al massacro, sì, ma senza tradimento. Anche dopo la morte della sua amata, l’aguzzino implora la vittima di tormentarlo, pur di non cedere a una vita che, senza Catherine, non è vita.
“Sii sempre con me, assumi qualsiasi forma, fammi impazzire! Solo non lasciarmi in questo abisso dove non riesco a trovarti! Oh Dio! Non ci sono parole per dirlo! Non posso vivere senza la mia vita! Non posso vivere senza la mia anima!”
E in quell’abisso dove niente tace Heathcliff non rinnega la sua indole brutale. Rende dapprima infernale la vita della figlia di Catherine (avuta dal matrimonio con Edgar Linton), poi perseguita anche il proprio figlio. È il sadico piacere degli incompiuti, di chi nasconde il dolore e al contempo lo esalta, di chi non teme di mostrarsi nudo ma si vergogna delle cicatrici. Il suo amore è il profano che languisce il sacro.
Heathcliff è condannato. Catherine da vittima diviene carnefice delle sue notti insonni, del suo malessere e della sua follia. Il suo unico ristoro, ormai, è trovare pace dove l’anima si placa. Il nostro protagonista attende la morte e infine, sereno, l’abbraccia.
E chissà che le due anime tormentate non si aggirino nella brughiera, selvagge, senza eccessi che non siano d’amore, senza violenza che non sia per le labbra.
Chissà che non lo facciano ancora adesso.
Giuseppe De Filippis
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