A distanza di due anni da A casa tutti bene, Gabriele Muccino torna al cinema con Gli anni più belli, che al botteghino sta ripetendo il successo del precedente.
La trama è molto semplice: il film segue le vite di Paolo, Giulio, Riccardo e Gemma, un gruppo di amici, lungo un arco temporale di quarant’anni. Dai primi amori adolescenziali alla vita adulta, passando per lauree, lavori precari, divorzi e cuori spezzati.
C’eravamo tanto amati: Muccino’s version
Gabriele Muccino si ispira, senza nasconderlo, a C’eravamo tanto amati di Ettore Scola per raccontare la generazione dei boomers, quelli nati tra il 1946 e il 1964, i cinquantenni di oggi. Con i suoi protagonisti, il regista e sceneggiatore attraversa la storia italiana, dai mondiali dell’82 fino ai movimenti del cambiamento, passando per “Mani pulite” e l’ingresso di Berlusconi in politica. In pieno stile Mucciniano, gli eventi politici fanno solo da sfondo al melodramma incentrato sui suoi quattro protagonisti. La regia è impeccabile, fluida e per nulla statica, in piacevole contrasto con il genere del film. La scrittura di Muccino spesso sfocia nel cliché, impedendo una completa riflessione sociologica su un’intera generazione, preferendo concentrarsi sulle singole esperienze dei personaggi.
Cast azzeccato
Il cast è di altissimo livello. Pierfrancesco Favino, Kim Rossi Stewart, Claudio Santamaria e Micaela Ramazzotti interpretano in maniera impeccabile i quattro protagonisti: rispettivamente Giulio, Paolo, Riccardo e Gemma. Anche Emma Marrone, nonostante l’assenza di dizione, ha saputo cavarsela discretamente nei panni di Anna, la moglie di Riccardo. La nota di merito va ai giovani attori che hanno interpretato le versioni adolescenti dei protagonisti: oltre alla somiglianza fisica impressionante, ciò che colpisce è la capacità di aver ripreso le movenze e tic attoriali dei colleghi adulti.
Sentimentalismo e melodramma
La scelta di far parlare gli attori in camera, facendo raccontare in prima persona la loro storia, contribuisce all’atmosfera melodrammatica, composta da tanti momenti intensi, solo in apparenza slegati fra loro. Sono le emozioni, dei personaggi e anche dello spettatore, a fare da collante a questi commoventi attimi, tipici del cinema di Muccino. La morale, un po’ amara, non è assolutamente innovativa: alla fine ciò che conta veramente sono “le cose che ci fanno stare bene”. La fine dolceamara è smorzata da una scena post credit abbastanza inutile e piuttosto esagerata.
Gli anni più belli attira i boomers al cinema
Nel complesso l’undicesimo lungometraggio di Muccino riesce nei suoi intenti: intrattiene e commuove, invitando il pubblico, specialmente quello dei boomers, ad un’autoanalisi e, perché no, ad un bilancio di questo mezzo secolo di vita, facendo emergere ricordi, gioie e qualche rimpianto. Gli anni più belli è comunque un cinema italiano che riesce ad emozionare e, soprattutto, ad attirare gli italiani nelle sale.
Consigliato: Sì
Voto: 7