«La lacrima di un bambino affamato pesa più di tutta la terra», raccontava Gianni Rodari in una delle sue favole brevi da narrare al telefono. Una delle tante “immagini scritte” di cui Rodari era maestro: d’impatto, velate d’ironia, che restano nella mente di un bambino, ma che forse dan fastidio a quei grandi che la verità non vogliono sentirsela ricordare.
La raccolta delle 70 storie da cornetta fu pubblicata in Italia nel 1962, con il titolo di Favole al Telefono. L’opera di Rodari è un caposaldo della letteratura per l’infanzia; in Italia, ma non dappertutto. Il libro non è mai stato importato in America perché considerato filocomunista: soltanto oggi, dopo quasi sessant’anni, i bimbi statunitensi potranno fare la conoscenza di Alice Cascherina e Il signor Fallaninna.
Telephone Tales
Sarà Telephone Tales il titolo della futura versione statunitense della raccolta rodariana, preso in prestito dalla traduzione inglese parziale e censurata degli anni Sessanta. Gianni Rodari, all’epoca della Guerra Fredda, non era visto di buon occhio da quei grandi a cui stava scomoda una certa visione del mondo, a causa dei suoi legami con il Partito Comunista. L’opera ebbe infatti maggior successo in Russia e in Europa Orientale, oltre che in Italia.
Solo nel 2020 la casa editrice americana Enchanted Lion ha deciso di pubblicare le Favole al Telefono di Rodari, tradotti da Antony Shugaar e illustrati da Valerio Vidali. Ma il punto di vista non è cambiato: i racconti continuano ad essere considerati come una forte dichiarazione politica, e Claudia Bedrick, la dipendente che si è occupata del libro in questi cinque anni, si chiede come questo sarà accolto negli Stati Uniti d’America.
Piccoli rivoluzionari
Lo scopo di Gianni Rodari e delle Favole al Telefono non era, però, quello di inculcare ai più piccoli idee socialiste. Egli desiderava invitarli a chiedersi cosa accadesse intorno a loro, a rendersi conto dell’insensatezza e della scelleratezza di alcune gesta umane, ad avere, insomma, un atteggiamento critico nei confronti dell’ordine prestabilito. Utilizzando sempre la propria immaginazione, che per Rodari era già di per sé un atto rivoluzionario.
Gianni Rodari ha dedicato tutta la sua vita in favore della sinistra, della giustizia e della Resistenza. Segnato dalla crudeltà della Seconda Guerra Mondiale, che gli aveva strappato due cari amici e la salute mentale del fratello, dopo il 1945 abbandonò il proprio lavoro da insegnante per dedicarsi al giornalismo e alla militanza nel PCI. L’Unità, L’Ordine Nuovo, Avanguardia: in ogni redazione per cui collaborò, Rodari seguì e condannò personalmente ogni forma di violenza istituzionale. Senza mai dimenticare, però, ciò che più aveva a cuore: i bambini e la loro fantasia.
Lo scrittore iniziò a rivolgersi ai più piccoli mentre scriveva per il quotidiano L’Unità. All’interno della redazione, era l’unico ad aver avuto a che fare direttamente con il mondo dell’infanzia e a poter quindi lavorare nella sezione del giornale dedicata ai bambini.
Ben presto ci si rese conto che la penna di Gianni era capace di rendere mansueta anche la più ferrata delle idee socialiste. Prima con Filastrocche in cielo e in terra (1960) e poi con Favole al Telefono, Rodari collaborò al momento cruciale di ribaltamento del tessuto sociale attuato negli anni Sessanta, volto all’inclusione nelle scuole dei figli della classe operaia. E con i suoi giochi di parole e lo stile asciutto e accessibile, andava in contro anche ai bambini non ancora abituati ad un italiano formale, sollecitando la fantasia e il lavoro sui propri errori e invitando ad appassionarsi al mondo.
Favole al Telefono
Favole al Telefono è una raccolta di 70 fiabe brevissime – che rientrano, per l’appunto, nell’arco di una telefonata. Il protagonista è infatti il Ragionier Bianchi, un rappresentante farmaceutico costretto a fare il pendolare dalla sua città di Varese per tutta l’Italia, rientrando a casa solamente di Domenica. La sua bambina, però, gli chiede di poter sentirlo al telefono ogni sera, con la promessa di una favoletta della buona notte.
Questo libro contiene appunto le storie del ragionier Bianchi. Sono tutte un po’ corte: per forza, pagava il telefono di tasca sua, non poteva fare telefonate troppo lunghe.
La Parola “Piangere” (Tratto da Favole al Telefono, Torino, Einaudi, 1962)
Questa storia non è ancora accaduta, ma accadrà sicuramente domani. Ecco cosa dice.
Domani una brava, vecchia maestra condusse i suoi scolari, in fila per due, a visitare il Museo del Tempo Che Fu, dove sono raccolte le cose di una volta che non servono più, come la corona del re, lo strascico della regina, il tram di Monza, eccetera.
In una vetrinetta un po’ polverosa c’era la parola “Piangere”.
Gli scolaretti di Domani lessero il cartellino, ma non capivano.
– Signora, che vuol dire?
– È un gioiello antico?
– Apparteneva forse agli Etruschi?
La maestra spiegò che una volta quella parola era molto usata, e faceva male. Mostrò una fialetta in cui erano conservate delle lacrime: chissà, forse le aveva versate uno schiavo battuto dal suo padrone, forse un bambino che non aveva casa.
– Sembra acqua – disse uno degli scolari.
– Ma scottava e brucciava – disse la maestra
– Forse la facevano bollire prima di adoperarla?
Gli scolaretti proprio non capivano, anzi cominciavano già ad annoiarsi. Allora la buona maestra li accompagnò a visitare altri reparti del Museo dove c’erano da vedere cose più facili come: L’inferriata di una prigione, un cane da guardia, il tram di Monza, eccetera, tutta roba che nel felice paese di Domani non esisteva più.
Sara Maietta
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