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Società

Studenti fuori sede alle prese con il lockdown: ce la faranno i nostri eroi?

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C’era una volta un povero fuorisede ai tempi del Coronavirus che improvvisamente si ritrovò abbandonato dal mondo (e dallo Stato), con nuove ansie da aggiungere a quelle abituali e una grande nostalgia di casa.
Dall’inizio della fase 1, i fuorisede sono alle prese con sbalzi di umore in cui si alternano momenti di disperazione a altri di risate (sofferte) per sdrammatizzare. Ma cosa vuol dire essere fuorisede durante il lockdown? Analizziamone le diverse fasi…

Fase 1: abbandono dei beni

Se hai avuto la sfortuna ti ritrovarti nella tua regione di provenienza quando il governo ha istituito il lockdown per la prima volta a marzo, allora almeno una volta avrai detto questa frase: “X dici? No, non c’è l’ho qui, l’ho lasciato a Y“. Sostituisci X con l’oggetto abbandonato e Y con la città in cui studi e il gioco è fatto. E se X sono appunti, computer, libri, chiavette, allora sappi che sei in buona compagnia. Non tutto il male viene per nuocere perché dalle brutte esperienze c’è sempre qualcosa da imparare.
1. Sempre salvare i file su drive 2. Mai preparare gli appunti in anticipo, è solo inutile lavoro in più. 3. Il ricongiungimento con i beni non è considerato un’urgenza o una necessità, anche se probabilmente molti di noi li ritengono alla stregua dei congiunti.

Fase 2: e l’affitto?

Per quanto riguarda la questione affitto con il protrarsi dell’emergenza sono nate delle vere e proprie scuole di pensiero: c’è chi ha scelto la via dell’illusione, chiedendo al proprietario un rimborso delle rate, c’è chi fin da subito ha adottato la linea pragmatica della rassegnazione, sapendo bene che di soldi non ne avrebbe visti, e chi invece, ritrovandosi in appartamento a inizio quarantena, ha deciso (sotto costrizione dei decreti) di rimanerci e di intraprendere un percorso di vita eremitica, trascorso tra le quattro mura desolate del proprio domicilio. Chissà che non siano loro i più fortunati che si sono risparmiate lamentele e nervosismi del proprio nucleo familiare.
Ciò non toglie che se sei un vero fuori sede ai tempi del Coronavirus sarai capitato sulla petizione di change.org, e magari ci hai pure creduto, girandola su WhatsApp a parenti e amici. Ma spesso non c’è stato niente da fare: l’affitto l’abbiamo pagato, anche se spesso è volentieri di stanze vuote che hanno preso polvere per ben due mesi.

Fase 3: il domicilio, la terra promessa

Con l’avvento della fase 2 a molti di noi fuorisede si è riaccesa la speranza di poter fare ritorno al nostro appartamento. Ovviamente, speranza accompagnato da una sana dose di dubbi e ansie. Il governo non si è esplicitamente espresso su noi poveracci che ormai siamo abituati a essere ignorati. Dovendo letteralmente interpretare il decreto ci siamo sentiti presi in causa quando abbiamo letto la frase: “è in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza“. Ma è troppo presto per saltare a conclusioni affrettate: la multa è sempre dietro l’angolo. In nome del popolo, noi di Borderlain abbiamo condotto una piccola indagine sulla questione spostamenti. Abbiamo chiamato la regione Lombardia per avere ulteriori informazioni in merito, ma a quanto pare abbiamo contattato il posto sbagliato perché ne sapevano meno di noi. Preso nota dei dati, ci hanno detto che ci avrebbero fatto richiamare da una persona competente in materia. Che dire, stiamo ancora aspettando la chiamata.

E se ognuno di noi spera presto ti poter finalmente raggiungere la fatidica terra promessa, di certo non sarà lo stesso ritornare in una casa ormai impolverata in cui nulla sarà cambiato all’interno, ma dove, dall’esterno, riecheggerà un’aria diversa, strana, a cui sarà difficile abituarsi.
L’unica consolazione: siamo tutti un po’ fuorisede.

Chiara Cogliati
Leggi anche – Noi, figli del consumismo, in quarantena
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Chiara Cogliati
Da un anno vive a Venezia dove studia, ogni tanto si rintana leggendo e ogni tanto pensando, anzi spesso, serve per fare tutto il resto. Le piace ascoltare, le riesce meglio che parlare, ma per fortuna sa anche scrivere, un pochino, e allora quello che vorrebbe dire a parole lo scrive, così si diverte.