A sei anni dall’insediamento del Generale Abdel Fatah al Sisi come Presidente dell’Egitto, il popolo è tornato in piazza fomentato da una nuova ondata di insoddisfazione.
La piazza di nuovo protagonista.
Nei giorni scorsi, il presidente egiziano ha ordinato il lancio di gas lacrimogeni per disperdere i dimostranti che in piazza Tahrir hanno alacremente protestato contro il governo, chiedendo le dimissioni dell’attuale leader d’Egitto. Piazza Tahrir, nota ai più dal 2011 per essere stato lo scenario delle prime rivolte della Primavera araba egiziana, non è stato l’unico luogo che ha ospitato fiumane di persone in protesta. Il malcontento è stato manifestato un po’ in tutto il Paese, in particolar modo ad Alessandria, Suez e Mahalla al Kubra, finendo con l’arresto di 74 persone, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa AFP.
Le proteste di venerdì.
L’iniziativa popolare è stata fomentata dall’attore e uomo d’affari Mohamed Ali, che, originario dell’Egitto, vive in Spagna in una sorta di esilio auto-imposto. A partire dallo scorso 2 settembre, l’attore ha iniziato a postare una serie di video online accusando il leader Al Sisi di dissipare milioni di lire egiziane in residence lussuosi e alberghi di classe mentre milioni di egiziani vivono in povertà. Ali ha continuato a postare video per giorni, chiedendo le dimissioni di Al Sisi entro il 19 settembre, minacciando, altrimenti, di scatenare la rivolta delle piazze per venerdì 20. Ed in effetti la minaccia è divenuta realtà. Il popolo egiziano è insorto nuovamente lamentando uno stato di povertà conseguente al regime di austerità che il governo egiziano ha imposto. Dal momento del suo insediamento, nel 2013, il presidente egiziano, ha instaurato un clima di repressione e censura, limitando i diritti umani e la difesa degli stessi.
L’illustre difensore americano.
Al Sisi ha risposto alle accuse mossegli dagli insorti definendole “bugie e calunnie”. Dalla sua parte si è schierato, senza che la notizia sorprendesse più di tanto, il Presidente americano Donald Trump che lo ha definito un “vero leader”, asserendo che tutti i presidenti sperimentano la noia di avere proteste nel proprio Paese. Trump, quindi, non solo non è preoccupato dalle accuse mosse alla sua controparte egiziana ma ne tesse le lodi, in virtù, soprattutto, di quegli accordi economici e redditizi che stanno cementando il rapporto USA- Egitto. Dopo tutto, Trump punta su un cavallo vincente: nel 2018, alle presidenziali, Al Sisi è rimasto in carica con il 97% dei voti a favore e, con le modifiche costituzionali approvate lo scorso aprile, potrebbe essere a capo dell’Egitto ancora fino al 2030. Una vittoria facile, fintantoché non è permessa l’esistenza di una reale opposizione.
A cura di
Margherita Sarno