… e la sua storia viene tramandata ogni anno durante il Día de los muertos, il giorno delle anime!
Ho capito cosa fosse la morte quando avevo sei anni, grazie ad un macabro episodio di Futurama assolutamente non adatto alla mia età. D’altronde da capire non c’è molto: un attimo prima ci sei e quello dopo non ci sei più. Il problema è accettarla, accettare che ogni cosa smetta di esistere per te e che tu smetta di esistere per tutto il resto.
Muerte
La nostra cultura, forse un po’ troppo influenzata dall’iconografia religiosa risalente all’epoca medievale, ha sempre rappresentato la morte con simboli tetri, oscuri, cupi. Le usanze del giorno dei morti, il 2 novembre, occasione in cui si ricordano i cari che ci hanno lasciato, lo dimostrano: c’è chi ancora è legato alle tradizioni, si reca al cimitero e si raccoglie in silenzi appesantiti dalla tristezza, e c’è chi, invece, ignora la ricorrenza, evitando così l’argomento, ancora oggi classificabile come taboo.
Argomento scomodo o meno, io ho sempre affrontato la morte sdrammatizzando, come meccanismo di difesa, convinta che la risata fosse il miglior rimedio per mascherare la paura e il dolore che accompagnano l’idea della morte.
Poi ho visto Coco, il film d’animazione Disney Pixar ambientato in Messico nei giorni in cui si celebra il Día de los muertos, e la morte mi si è presentata con un’altra faccia.
Día de los muertos
Attraverso una coloratissima festa, piena di fiori, cibo, musica e balli, il 2 novembre può essere un’occasione per sorridere e, perché no, divertirsi. Stiamo parlando del Día de los muertos, una festività della tradizione messicana, la cui origine risale alle civiltà pre-colombiane. Tre giorni di festeggiamenti, dal 31 ottobre al 2 novembre, in onore della credenza che le anime dei defunti ritornino dall’aldilà per ricongiungersi con i propri cari. In questa occasione le solite vesti scure, da funerale, tipiche della morte, sono sostituite da una tavolozza di colori che fa da sfondo ad una giornata dedicata alla memoria e ai legami familiari.
Recuérdame
Festa, morte, ricordo. Coco, utilizzando come semplice punto di partenza una tradizione dal sapore antico e scevra da qualsiasi dottrina, riconduce tutti questi concetti ad un’emozione intensa, difficile da descrivere a parole: la malinconia. Una malinconia serena, dove la memoria condivisa sublima la tristezza in un pianto felice, in un dolore piacevole. Attraverso la simbologia dell’Ofrenda, l’altare domestico messicano composto da tutte le fotografie degli avi scomparsi, Coco dà una forma a ciò che potremmo definire come il potere del ricordo di sconfiggere la morte. L’innato atto umano di ricordare prolunga l’esistenza a tutto ciò che fisicamente ha smesso di esistere.
Mi Familia
La famiglia in Coco è il carburante, ciò che alimenta i ricordi e potenzialmente può farli durare in eterno. Perché nonostante i contrasti, nonostante i litigi, nonostante le incomprensioni, i legami familiari e affettivi non si possono ignorare, talmente sono forti, quasi tangibili. Così, tramandato di generazione in generazione, i ricordi e i suoi protagonisti sopravvivono, , immuni alle dimensioni di spazio e tempo, immuni alla morte.
La Llorona
Non fraintendetemi. Coco e il Día de los muertos non sono di certo la soluzione ultima alla primordiale paura che l’uomo ha nei confronti della morte. Eppure, io, ogni volta che rivedo Coco mi commuovo: una commozione liberatoria, catartica, che per quei momenti esorcizza la paura della morte; una commozione che alla fine fa stare bene. E in quell’istante la morte fa un po’ meno paura.