creativi in isolamento
Cultura

Creativi in isolamento: trasformare il dolore in arte

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Natale si avvicina e con esso l’ansia di viverlo in questo momento storico. Tutti desideriamo un timeout dalla pandemia per goderci la gioia e la spensieratezza proprie del 25 dicembre, l’unico giorno dell’anno in cui è vietato accendere il telegiornale perché ciò che accade al di fuori della casa, anzi, della tavola imbandita dalle lasagne e l’arrosto della nonna, non ha importanza. Ma quest’anno scordiamoci la spensieratezza, perché a prendere il suo posto sarà una sana dose di “restrizioni natalizie”, a scapito di chi all’aggettivo natalizio associa qualcosa di bello. Se il premier Giuseppe Conte ha assicurato che Babbo Natale potrà circolare tranquillamente, noi piuttosto siamo stati fortemente invitati a starcene nella nostra casetta, avvolti da un aroma che profuma di lockdown. Ma non tutto il male viene per nuocere perché come natalizio può significare qualcosa di brutto, anche distanziamento sociale può significare qualcosa di bello.

Con tutto questo tempo a disposizione, lontani dalle consuete distrazioni della zia che ci chiede del fidanzato e l’amico che ci domanda come passeremo il capodanno, possiamo fare qualcosa per noi stessi. Il distanziamento sociale è il momento migliore per dare sfogo alla propria creatività. A testimonianza di ciò sono artisti e scrittori, alcuni costretti dalle circostanze e altri no, che hanno ricorso alla via dell’isolamento per esprimere totalmente loro stessi e concretizzare la loro arte. Qui vedremo alcuni di loro, e chissà che anche tu non ti aggiungerai presto alla lista (anche se probabilmente non vivrai abbastanza a lungo per saperlo).

Emily Dickinson

“Non è necessario essere una stanza o una casa per essere stregata. Il cervello ha corridoi che vanno oltre gli spazi materiali.” 

Nata il 10 dicembre 1830, alla poetessa non venne dato il dovuto riconoscimento in vita per il suo modo rivoluzionario di fare poesia: la scelta di parole chiare, semplice e schiette per molti al tempo risultava banale, elementare.

Sebbene non compresa, Emily era una vera e propria visionaria. Dal 1870 fino alla sua morte, per ragioni poco chiare (probabilmente la morte di alcuni suoi amici e familiari), si rinchiuse nella sua stanza, scrivendo del mondo meglio di chi lo viveva in prima persona. La poetessa è riuscita in quei 15 anni di reclusione a vivere a pieno, animata dalla sua immaginazione e creatività. Al loro fianco Emily era in grado di viaggiare con la mente, di scrivere di luoghi ameni, di sensazioni profonde. E nonostante si rinchiuse in una stanza come prigioniera, Emily era libera.

Edvard Munch

„La malattia, la follia e la morte sono stati gli angeli neri che hanno vegliato sulla mia culla e mi hanno accompagnato tutta la vita.“

Edvard Munch convisse per tutta la sua vita con il dolore, fisico e mentale. Questo dolore pervase in particolare la sua arte dove i personaggi, cupi, spettrali, spenti, danno voce a quell’urlo della sua opera più famosa. Per Munch l’isolamento era una condizione naturale della vita ed è in esso che molto spesso si ritirava. 

Munch contrasse l’influenza spagnola e, a differenza di altri artisti quali Schiele e Klimt, fu in grado di riprendersi e sconfiggere la malattia. A testimonianza di questo periodo ci sono una serie di autoritratti in cui l’artista si ritrae convalescente, testimonianze di quella terribile pandemia che un secolo fa sconvolse il mondo e dinanzi alla quale Munch si rifugiò nell’arte. Una storia che oggi non ci suona del tutto nuova. Ecco forse che Munch può insegnarci qualcosa. 

Frida Kahlo

“Ho subito due gravi incidenti nella mia vita…il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego Rivera.”

 Chi meglio di Frida Kahlo ci può insegnare come trasformare il proprio dolore in arte. La sua biografia ne è la prova: dapprima l’incidente in cui un tram la travolse, provocandole una frattura alla colonna vertebrale e al bacino, e successivamente le sofferenze provocate dal marito infedele. 

Durante la sua lunga convalescenza fu costretta a rimanere a letto, dove si dedicò totalmente ai suoi dipinti. Proprio qui realizzò il suo primo autoritratto. Frida ci mostra cosa significa riscatto, come anche da immobilizzati a letto possiamo esprimere la nostra creatività, come l’arte può essere nostra fedele amica e compagna in momenti di difficoltà. 

J.D. Salinger

“Mi costruirò una piccola capanna da qualche parte con i soldi che ho fatto e vivrò lì per il resto della mia vita.  La costruirò proprio vicino ai boschi, ma non proprio in mezzo, perché vorrei che fosse soleggiato da morire tutto il tempo.” (Il giovane Holden, J. D. Salinger)

Prima di diventare l’autore di “Il giovane Holden”, uno dei libri più letti e amati dagli adolescenti di tutto il mondo, Salinger prestò servizio durante la seconda guerra mondiale come ufficiale nell’unità di controspionaggio, il cui compito era dare la caccia ai nazisti. Egli visse per nove mesi a Gunzenhausen – una cittadina della Germania del Sud – uscendone profondamente segnato. Così scriveva ai suoi familiari: “è impossibile non sentire più l’odore dei corpi bruciati, non importa quanto a lungo tu viva.” Lo scrittore, di origini ebraiche, fu traumatizzato dagli orrori della guerra, tanto che fu ricoverato in un ospedale di Norimberga per quello che oggi conosciamo come stress post-traumatico. Non a caso nell’ultimo periodo della sua vita, Salinger decise di ritirarsi dalla vita frenetica di New York e stabilirsi nelle montagne della Cornovaglia. Gli ultimi anni li passò in totale silenzio, lontano dal dibattito letterario dell’epoca

Chiara Cogliati
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Chiara Cogliati
Da un anno vive a Venezia dove studia, ogni tanto si rintana leggendo e ogni tanto pensando, anzi spesso, serve per fare tutto il resto. Le piace ascoltare, le riesce meglio che parlare, ma per fortuna sa anche scrivere, un pochino, e allora quello che vorrebbe dire a parole lo scrive, così si diverte.