Sapete che la CIA finanziò Pollock, il pittore americano del dripping, per affermarsi durante gli anni del confronto spietato con la Russia?
Quando nel 1940 Parigi fu presa dai nazisti fu chiaro agli occhi di tutti che la secolare capitale dell’arte stava lasciando spazio agli Stati Uniti. In condizioni decisamente migliori rispetto al vecchio continente devastato da bombardamenti, distruzioni e deportazioni della guerra, gli USA non furono solamente i vincitori del conflitto. Dalla loro, avevano anche l’essere un Paese estremamente giovane, ancora alla ricerca di una specifica identità: per questo motivo, i magnati americano si occuparono in quegli anni di finanziare numerosissimi progetti artistici per poter ovviare a questa assenza di identità culturale, che li rendeva oggetto di scherno rispetto alla storia del nostro continente. Mentre dilagava il nazifascismo, gli artisti delle avanguardie europee fuggirono di buona lena in questa oasi di pace che permetteva loro di produrre e studiare guadagnandosi addirittura da vivere.
È qui che entrano in gioco Pollock e l’Intelligence: con la sua pittura impetuosa e gestuale, rivelatrice di una psiche traballante e di una biografia tragica e intensa, il pittore americano era l’immagine dell’America di quegli anni: rude, energica, determinata. Egli permise di chiudere l’epoca dell’artista bohémien europeo per aprirlo alla contemporaneità. A partire dal suo dripping si formerà un intero stuolo di artisti di “pittura d’azione”, e l’Action Painting sarà la prima corrente artistica americana ad entrare nell’Olimpo della storia dell’arte.
Inutile dire che agli americani faceva estremamente comodo avere attenzione e successo. Gli USA non avevano mai avuto una propria corrente artistica nella storia dell’arte. Mentre la Russia, dopo una nutrita serie di avanguardie, si trovava ora di fronte al rigore realistico e operaio dell’Urss, in totale assenza di sperimentazione espressiva, caratteristica di tutta l’arte dittatoriale. Allora, perché non approfittarne?
Jackson Pollock e l’Action Painting
Jackson Pollock è senza dubbio il pittore più celebre della corrente artistica dell’Action Painting (Espressionismo Astratto). Nessuno prima di lui aveva osato prendersi una tale libertà espressiva nei confronti della pittura e ciò lo rende la figura artistica più radicale degli anni ’40 e ’50 del Novecento.
Forse stupirà sapere che, come tutti, Pollock si formò come pittore figurativo. Nacque il 28 gennaio 1912 e trascorse l’infanzia tra l’Arizona e la California, entrando in contatto con i nativi americani. Da loro apprese la tecnica del sand painting, la pittura con la sabbia: in molti dei quadri del pittore ritroviamo granelli di sabbia misti alla vernice, fatti colare direttamente sulla tela.
Nel 1929 Pollock, insieme al fratello, si trasferì a New York, dove iniziò a lavorare nello studio di uno dei pittori dell’American Scene, corrente americana di primo Novecento caratterizzata da un solido realismo. Ma il giovane era molto più attratto dall’uso del colore che dalle scene pastorali, e già le sue prime opere figurative apparivano di difficile comprensione: un tripudio di figure ermetiche ispirate alla mitologia e agli archetipi di Jung, incontrati durante il suo percorso psicanalitico.
La svolta avvenne nel 1945, dopo il matrimonio con un’affermata pittrice statunitense, Lee Kresner. La moglie riuscì ad ottenere dalla celebre gallerista Peggy Guggenheim un finanziamento per acquistare una casetta in legno con annesso fienile, che diventò presto il laboratorio delle sgocciolature di Pollock.
L’incontro con Guggenheim fu decisivo per il giovane pittore. Colte le qualità, fu la gallerista a patrocinare il suo lavoro che già da figurativo rivelava una forza espressiva senza precedenti. La tecnica del dripping, da lui consolidata (l’aveva già sperimentata Dalì negli anni Venti) invade oggi le pareti dei più grandi musei del globo e ha quotazioni all’asta stellari. Gli schizzi apparentemente casuali che osserviamo sulle enormi tele del MoMA sono in realtà il risultato di un pittura estremamente gestuale, realizzata non solo con le mani, ma con tutto il corpo: il pittore restava sempre ad una certa distanza studiata dalla tela, e vi ruotava intorno, vi camminava sopra, per creare il groviglio di linee, macchie e sgocciolature e bloccare attraverso queste tutto ciò che gli si parava nel processo: polvere, sabbia, piume di uccelli. Una sorta di Happening, ma su tela, una pura espressione di energia.
Nel 1956, anno della sua morte in un tragico incidente d’auto, la rivista TIME gli dedicò un intero articolo in prima pagina, con il titolo di “Jack the Dripper”. Il mito era ormai pronto per affermarsi a livello mondiale.
The American Dream: Quando la CIA finanziò Pollock
Nella Berlino Ovest del 1950 nacque il CCF, Congress for Cultural Freedom. Si trattava all’apparenza di una lega anticomunista; solo nel 1967 si scoprì essere una copertura dell’Intelligence per esportare la cultura americana in tutta Europa: per vincere la Guerra Fredda, gli statunitensi necessitavano di consenso.
Così, Con l’Urss immobile nella sua fierezza, gli USA ebbero modo di affermare gli ideali di libertà e lifestyle. Insomma, si fecero in quattro per esportare il cosiddetto American Dream, e individuarono in Pollock tutto ciò che la Russia, a livello culturale, non aveva, e che poteva invece colpire gli intellettuali europei: libertà d’espressione, soggettività, libertà dei costumi (Pollock combatté con l’alcool per tutta la sua vita), lavoro creativo. Inoltre, era chiaro che l’Espressionismo Astratto facesse le moine al Surrealismo e al Cubismo, le perle dell’arte contemporanea europea.
Nel 1958, il direttore del MoMA Alfred Barr portò in giro per l’Europa la mostra itinerante The New American Painting. Quella che viene considerata come la prima mostra itinerante della storia della contemporaneità ebbe in realtà un lauto finanziamento dal CCF, gestito da Tom Braden. Un gruppo di agenti segreti del Congress venne appositamente formato in storia dell’arte per assolvere al compito di esportare Pollock in tutta Europa.
Arte e politica
Nonostante si siano sempre avuti dubbi, solo verso la fine degli anni Duemila si sono ottenute le prime rivelazioni. Fu David Jameson, un ex agente facente parte del CCF, a confermare quello che a lungo era parso un complotto. «Naturalmente gli artisti non lo sapevano, non erano al corrente del nostro gioco. È da escludere che tipi come Rotkho o Pollock abbiano mai saputo di essere aiutati nell’ombra dalla Cia, che tuttavia ebbe un ruolo essenziale nel lancio e nella promozione delle loro opere. E nell’aumento vertiginoso dei loro guadagni».
Al di là dell’aspetto aneddotico, la questione è molto interessante da analizzare. Ancora oggi non è raro dover lottare con chi si ferma ad una considerazione estetica della storia dell’arte. Troppe volte si sente dire che l’arte e la politica non possono andare a braccetto, e che l’arte non può occuparsi di politica o viceversa. Insomma, troppe volte l’arte è stata relegata a oggetto di inutilità e passatempo. Soprattutto quella contemporanea, perché all’apparenza incomprensibile ai più.
Esistono due gravissimi errori a proposito di questa modalità di pensiero. In primo luogo, le storie che si celano dietro i pezzi da museo rivelano di essere molto più di semplici gossip per appassionati: dal Caravaggio omicida al Van Gogh pazzo d’amore per Gauguin, gli aneddoti sono simbolici dell’enorme potere che l’espressione artistica detiene. E non si tratta solo di un potere estetico o soggettivo, ma di un forte ruolo di rappresentazione di contesti politici e sociali.
Da qui scaturisce il secondo, irritante errore: la differenza tra arte moderna e contemporanea, che riconosce eventualmente una funzione alla prima e nulla alla seconda. Il fatto che la CIA finanziò Pollock rivela che l’opera d’arte, per essere apprezzata – e quindi eventualmente essere sfruttata politicamente -, deve essere inserita nel suo periodo storico. Se Pollock avesse dipinto putti o fosse rimasto ancorato alla pittura paesaggistica americana di primo Novecento, non sarebbe mai potuto diventare lo strumento politico che suo malgrado è stato.
Per questo motivo oggi, in onore del compleanno del capostipite dell’Espressionismo Astratto, abbiamo deciso di raccontarvi di quella volta che la CIA finanziò Pollock durante la Guerra Fredda. A dimostrazione di quanto l’espressione artistica, anche e soprattutto quella più ostica, possa essere un potentissimo strumento di affermazione di potere e propaganda.