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Caso Cucchi: verità a un passo, fra sollievo e amarezza

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Manca davvero poco a una possibile parola definitiva sul caso di Stefano  Cucchi. Carabinieri e alti vertici dell’Arma accusati in attesa dell’imminente sentenza 

 

2009-2019. Questo è il periodo che potrebbe essere ricordato come tempo di inchieste alla ricerca delle cause della morte di Stefano, geometra di trentuno anni morto a Roma il 22 Ottobre 2009. Ma ora il caso Cucchi ha la verità a un passo.

Un tempo infinito fatto di dolore, calunnie e speculazioni politiche. Un tempo in cui sono stati celebrati processi al morto, processi nei quali si è simulato quello che non si poteva simulare. Per un momento Stefano Cucchi è morto di fame e di sete.

Dieci anni scritti dalla tenacia di una sorella che pretende giustizia, pretende di sapere la verità sulla morte di suo fratello. Se a Novembre arriverà l’udienza finale che vede alla sbarra alti ufficiali dell’Arma lo si deve sicuramente a Ilaria Cucchi e all’Avvocato Fabio Anselmo per la lotta contro un gigante. 

Quello che sta per arrivare al traguardo è un processo che mette in fila fatti degni di una sceneggiatura cinematografica. Depistaggi arrivati sino al Parlamento per bocca dell’inconsapevole Alfano, nel 2009 Ministro degli Interni, che preparò l’informativa destinata alla Camera dei Deputati su atti falsi.

Il filone aperto dal PM Musarò mostra come sin da quattro giorni dopo la morte cominciò a muovere i suoi ingranaggi una catena di depistaggi per sviare indagini e verità. Ascoltando la ricostruzione di quei momenti sembra di essere di fronte ad un secondo lavoro, svolto ai piani alti dell’Arma, iniziato il 26 Ottobre 2009 con la falsificazione di un’annotazione di servizio sullo stato di salute di Stefano. I PM sostengono, inoltre, che la falsificazione dell’atto sia aggravata dal fine di generare l’impunità dei carabinieri autori del pestaggio. 

Nomi pesanti, dunque, finiranno davanti al giudice: il generale Alessandro Casarsa, all’epoca dei fatti capo del Gruppo Roma; il colonnello Lorenzo Sabatino, a capo del Nucleo operativo della città; Francesco Cavallo, allora tenente colonnello capoufficio del comando di Roma; Luciano Soligo, già comandante della Compagnia Montesacro; Massimiliano Colombo Labriola, comandante della stazione Tor Sapienza; Francesco Di Sano, all’epoca in servizio nella stessa stazione; Tiziano Testarmata, ex comandante della quarta sezione del Nucleo investigativo; e il carabiniere Luca De Cianni.

Le accuse, a seconda della posizione, sono di falso, omessa denuncia, favoreggiamento e calunnia. Sottolineando la pesantezza della situazione, l’Arma si è costituita parte lesa. Un gesto significativo volto a stigmatizzare comportamenti inadeguati e ignobili per un servitore dello Stato. Benché l’Arma abbia mosso un passo costituendosi parte lesa – il trattamento  riservato all’appuntato Riccardo Casamassima evidenziano un problema omertoso al quale sarà necessario mettere mano. Nello specifico: Casamassima ha fatto dichiarazioni rilevanti che hanno permesso di continuare le indagini al passo giusto e, per questo, sta subendo conseguenze sul lavoro. 

Non è finita qui. A questi nomi di alto rango si aggiungono quelli di Raffaele d’Alessandro, Alessio Di Bernando e Francesco Tedesco. Questi presunti autori del pestaggio sono accusati di omicidio preterintenzionale per i quali la sentenza dovrebbe arrivare in Corte d’Assise a Novembre. 

Lo stato dei fatti fa pensare di essere all’ultimo giro, a pochi passi da un traguardo atteso da un decennio. Al di là del sollievo che porterà una parola definitiva che accerti le cause e i responsabili della morte di Stefano, rimane inconfutabile come lo Stato italiano faccia fatica a processare se stesso. Il caso di Stefano Cucchi è destinato a rimanere nella coscienza collettiva di questo Paese per sempre. Sia per la drammaticità dei fatti sia per il calvario, accentuato da organi dello Stato, percorso per arrivare alla verità. Ma ora il caso Cucchi ha la verità a un passo.

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Federico Feliziani
Autore e scrittore di prosa e poesie, blogger e consigliere comunale a Sasso Marconi, è da circa un decennio politicamente attivo e dedito alla causa contro le violazioni dei diritti umani. Considera la propria disabilità un’amica e compagna di vita con cui crescere e mantenere un dialogo costante.