In questo periodo di emergenza a causa del coronavirus il mondo del calcio si interroga su quale possa essere il futuro del campionato della Serie A 2019/2020 e di tutti gli altri campionati. L’unico elemento certo è il grave danno economico che stanno subendo tutti i Club a causa del venir meno dei ricavi previsti in questa seconda parte della stagione mentre la struttura dei costi, in particolare gli stipendi dei calciatori, rimane pressoché invariata. In molti, quindi, hanno cominciato a parlare di un taglio degli emolumenti percepiti dagli atleti per permettere alle società calcistiche di arrivare indenni al prossimo campionato.
L’associazione Avvocaticalcio ha deciso di analizzare la situazione dei campionati da un punto di vista giuridico evidenziando cosa potrebbe accadere in base a diversi scenari possibili.
Cosa succederebbe se il termine dei campionati venisse fissato dopo il 30 giugno? Quale il destino dei contratti che scadono il 30 giugno o di quelli già negoziati per la stagione 2020/2021?
Come noto l’ordinamento dei campionati è disciplinato dalle Norme Organizzative Interne della FIGC, le c.d. NOIF. E’ in particolare l’art. 47 NOIF a disporre che la stagione sportiva federale inizi il 1 luglio e si concluda il 30 giugno dell’anno successivo.
La medesima norma dispone che l’attività sia sospesa nel periodo previsto dalle Leghe, secondo gli indirizzi fissati dal Consiglio Federale. In questo momento storico, ci troviamo in una situazione eccezionale, in cui le Leghe professionistiche, in adempimento delle prescrizioni normative statali emanate per il contrasto al diffondersi dell’epidemia da Covid 19, hanno concertato con la Federazione la sospensione dei campionati, la cui data di ripresa, tuttavia, non è attualmente preventivabile.
Analizzando con realismo i dati sulla espansione dei contagi, oramai diffusi anche tra i tesserati, è verosimile che, se mai ci fossero le condizioni a livello sanitario per riprendere i campionati in sicurezza per atleti e addetti ai lavori, la stagione necessiterebbe di una proroga oltre il canonico 30 giugno.
Le norme non contemplano tale ipotesi: dovrà, quindi, essere necessariamente apportata una revisione delle NOIF che contempli lo slittamento della stagione sportiva.
Gli effetti di tale previsione avrebbero, così, immediate ricadute anche sui singoli contratti di lavoro degli atleti che, in questo modo, rimarrebbero validi fino al termine della stagione, dunque oltre l’attuale scadenza del 30 giugno. Lo stesso discorso varrebbe per i contratti già stipulati per la stagione 2020/2021, la cui validità differirebbe automaticamente nel termine iniziale alla data (diversa e successiva al 1 luglio 2020) nella quale sarà previsto l’inizio della nuova stagione sportiva federale.
Stante la diffusione del virus a livello mondiale sarebbe, inoltre, opportuna una norma di coordinamento FIFA, avente riguardo al differimento della stagione sportiva 2019/2020 e quindi della finestra estiva di mercato 2020/2021.
Non può non considerarsi, inoltre, che il differimento dei campionati imporrebbe agli atleti di adempiere alla loro prestazione lavorativa in un momento non contemplato dal contratto e, in particolare, in un momento in cui dovrebbero beneficiare contrattualmente delle ferie. L’accordo collettivo prevede, difatti, che questi beneficino di 4 settimane di ferie. La soluzione potrebbe rinvenirsi, pertanto, nell’anticipazione delle ferie al mese di marzo/aprile, così da non incorrere in violazioni contrattuali e, peraltro, giustificare il riposo degli atleti in questo delicato momento.
Se il campionato dovesse essere sospeso o addirittura interrotto senza riprendere, che poteri/diritti avrebbero i Club con riferimento alla riduzione dei compensi dei calciatori?
Sul tema dei compensi ogni argomentazione andrebbe elaborata e valutata in base all’evolversi della situazione e alla durata dello stop dei campionati.
Dalle assemblee di Lega di questi giorni è emerso che i Club hanno predisposto un documento da sottoporre al Governo con il tramite della FIGC e quindi del presidente Gravina che si farà portavoce delle istanze delle società, tra le quali c’è la revisione del “Decreto dignità” per consentire il finanziamento tramite la pubblicità da scommesse sportive nonché un allentamento per il 2020 della pressione fiscale e previdenziale.
Di certo le società che fin da subito hanno lamentato di subire un danno economico a causa di tale sospensione, dovuto a mancati introiti di diversa tipologia, riunite nelle rispettive Leghe, puntano fortemente anche a ridurre i costi di gestione tagliando i salari dei propri calciatori.
La strada più percorribile senza incorrere in azioni legali è quella dell’accordo consensuale tra le parti, da discutere individualmente.
Percorribile, ma probabilmente di difficile attuazione pratica, un accordo di categoria tra Leghe e Associazione Italiana Calciatori. In questo caso dovranno necessariamente negoziarsi soluzioni differenti per i Club di A rispetto alle serie professionistiche minori.
Andando per ipotesi, se lo stop del campionato fosse definitivo, o si dovesse protrarre oltre il mese di aprile per poi riprendere solo nel mese di maggio o addirittura giugno, un taglio delle retribuzioni dei calciatori potrebbe trovare una giustificazione giuridica indipendentemente dall’accordo tra Club e singoli atleti.
Difatti, tenendo a mente che ai sensi della Legge n. 91/1981, la prestazione del calciatore (così come dell’allenatore) professionista costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato, il rapporto contrattuale in commento vede da un lato il datore di lavoro (club) e dall’altro il lavoratore subordinato (calciatore o allenatore).
Se, quindi, per causa non imputabile al datore di lavoro (club) la prestazione del lavoratore (calciatore o allenatore) dovesse divenire impossibile anche solo temporaneamente, ai sensi degli artt. 1218 e 1256 codice civile sarebbe legittimo sospendere unilateralmente il rapporto di lavoro con esonero dell’obbligazione retributiva.
A tal proposito può essere utile citare la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione Sezione Lavoro, la quale, con Ordinanza n. 14419/19, ha chiarito che la sospensione unilaterale del rapporto da parte del datore di lavoro è giustificata – ed esonera il medesimo datore dall’obbligazione retributiva – soltanto quando non sia imputabile a fatto dello stesso, non sia prevedibile ed evitabile e non sia riferibile a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale ovvero a contingenti difficoltà di mercato. La legittimità della sospensione va verificata, pertanto, in riferimento all’allegata situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa. Solo ricorrendo il duplice profilo dell’impossibilità della prestazione lavorativa svolta dal lavoratore e dell’impossibilità di ogni altra prestazione lavorativa in mansioni equivalenti, è giustificato il rifiuto del datore di lavoro di riceverla
Non appare dubbio che sia i provvedimenti statali che quelli federali che hanno, ad oggi, vietato lo svolgimento delle manifestazioni sportive e, addirittura degli allenamenti, rendano la prestazione dell’atleta impossibile e in alcun modo imputabile ai Club.
Per prudenza, e al fine di evitare il proliferarsi dei contenziosi, sarebbe opportuno demandare la questione ai rispettivi Collegi Arbitrali delle Leghe professionistiche di Serie A, Serie B e Lega Pro – Serie C.
Stante il clima di incertezza e la fluidità nell’evolversi della vicenda a livello statale e internazionale, si ritiene che, ad oggi, questi siano gli scenari ipotizzabili, ma certamente non definitivi ed esaustivi.