“Caligola” di Albert Camus
“Mostro, Caligola, mostro. […] Come si può continuare a vivere con le mani vuote quando prima stringevano l’intera speranza del mondo? Come venirne fuori? (Scoppia in una risata falsa, artificiosa.) Fare un contratto con la propria solitudine, no? Mettersi d’accordo con la vita. Darsi delle ragioni, scegliersi un’esistenza tranquilla, consolarsi. Non è per Caligola. (Batte il palmo della mano sullo specchio.) Non è per te. Non è vero?
Trama
Albert Camus, in una delle sue opere teatrali di maggior successo, ci presenta la figura dell’imperatore Caligola come un uomo dilaniato dal dolore e dalla follia. Follia che sfocerà ben presto in un’assurda quanto manifesta pretesa di tirannia e di sadismo. L’imperatore è straziato dalla morte di Drusilla, sua sorella e amante, nonché unica donna capace di quietare il suo animo turbato. Privo di speranza, dilaniato dalla disperazione, Caligola concentra il suo potere in un’unica direzione, quella della follia. Condanne a morte ingiustificate, manovre economiche scellerate, punizioni feroci si susseguono sotto il suo comando. I senatori, dapprima spiazzati, poi intimoriti e decisi a porre fine a quel regno del terrore, organizzano una congiura. L’imperatore sa, ma non agisce, attendendo quasi impaziente che si compia il proprio destino.
A far da contraltare alle scene più feroci spicca la figura di Cesonia, dolce amante dell’imperatore e totalmente consacratagli. Attraverso i loro dialoghi Camus riesce a far raggiungere all’opera picchi di lirismo quasi esasperato, che si bilancia magnificamente con la crudeltà delle altre scene. Il valore suggestivo della parole si fonde coi sentimenti di Caligola, sommesso ad una morte di cui non si capacità, ma che lo rende umano quanto i personaggi che disprezza.
“Vorrei guarire ma non posso. Prima di sapere che c’è la morte tutto mi sembrava credibile. […] Ora non più. Ora non mi rimane altro che questo futile potere di cui tu parli. Più è smisurato più è ridicolo. Perché non vale niente al confronto degli sguardi che Drusilla mi rivolgeva certe sere”.
Commento
Camus permea l’opera di un esistenzialismo ambiguo, in cui la logica gioca un ruolo fondamentale. Caligola pare infatti mettere in atto un divorzio tra l’uomo e i suoi tormenti, decidendo di seguire un rigido schema di pensieri e azioni. Questo atteggiamento sfocia in una lucida follia, in cui l’imperatore – seguendo la propria logica – cerca la catarsi mettendo in atto decisioni gelidamente giustificate. La stessa volontà di non sottrarsi alla congiura può essere ricondotto a questo modo d’agire. Caligola è indebolito dal disgusto e dall’orrore della solitudine, e acconsente a morire perché capisce che nessuno – nemmeno un imperatore – può salvarsi da solo.
Camus ha il merito di aver elevato alla perfezione il sentimento di un uomo e i suoi contrasti, il rifiuto della debolezza e l’insostenibile fragilità dell’amore e della sottrazione.
Caligola si rifugia in un vuoto che non riempie, quel grande vuoto in cui l’anima si placa, un abisso più profondo della morte e più disperato della solitudine. Una mancanza cui solo la morte può rimediare, per donargli ancora una volta lo stesso cielo che osservava con Drusilla.
Ma non c’è nessun cielo, per Caligola.
Articolo a cura di:
Giuseppe De Filippis