La programmazione di Biografilm 2020 va avanti decisa. Mentre si conserva la grande varietà di temi, culture e sguardi che hanno sempre contraddistinto la manifestazione, si afferma con forza la volontà di creare un percorso di storie che parlino innanzitutto del desiderio umano di trovare un proprio spazio all’interno del mondo, una dimensione nella quale recuperare la propria identità e renderla solida, capace di sostenere le sfide della realtà al di là dei pregiudizi e delle etichette.
This train I ride di Arno Bitschy (Concorso Internazionale)
La negazione delle catene imposte dalla società passa attraverso la pratica del salto sui treni merce nel documentario di Arno Bitschy, che ha deciso di seguire con la sua videocamera tre donne in viaggio perenne verso la ricerca della loro idea di libertà, oltre i ruoli imposti dalla società civile e spesso ai limiti della legge. Uno stile di vita nomadico, una quotidianità passata a osservare la natura e le città che scorrono oltre le carrozze dei treni su cui queste donne passano settimane, per poi scendervi, aspettare la notte e col favore delle tenebre risalirvi verso direzioni differenti: un viaggio nel quale la destinazione non conta tanto quanto l’esperienza di scoperta e rinascita che quest’avventura è capace di offrire.
Always Amber di Lia Hietala e Hannah Reinikainen (Contemporary Lives)
Amber è una diciassettenne non binaria che vive nella Stoccolma dei giorni nostri. Insieme a Sebastian, suo migliore amico, intraprende un percorso alla scoperta della propria sessualità e decide di fare coming out. Quando s’innamora di Charlie il rapporto tra lei e Sebastian si crepa, Amber decide di affrontare la transizione e inizia le sedute con la psicologa perché sia presa in considerazione per una mastectomia. L’opera prima delle due registe finlandesi, presentata nella sezione Panorama alla Berlinale 2020, è un discreto e attento resoconto della più minuta quotidianità della nuova generazione fluida, desiderosa di vivere le relazioni, le amicizie e la sessualità senza farsi ingabbiare dalle etichette che la società impone al singolo. Il percorso di Amber ha perciò soprattutto a che fare con una ricerca esistenziale, un tentativo di scoprirsi, conoscersi e infine farsi riconoscere secondo la sua identità dal mondo che la circonda. Il documentario mescola i linguaggi classici del genere a forme più contemporanee, con grafiche da social network e transizioni veloci tra spazi come tra piani temporali: ne emerge un affresco, intimo e complesso, di questa nuova gioventù che sempre con maggior forza chiede al mondo degli adulti il proprio spazio di crescita e libertà.
Sqizo di Duccio Fabbri (Biografilm Italia)
Dopo una relazione epistolare di dieci anni, Duccio Fabbri corona il suo sogno di conoscere Louis Wolfson: si reca direttamente a Porto Rico, dove lo scrittore tutt’oggi abita, per avere finalmente l’opportunità di sentirsi raccontare dal diretto interessato l’incredibile avventura che è stata la sua vita. Il risultato di questo folle dialogo è Sqizo, documentario che mescola inserti di docu-fiction atti a ricostruire la vita dell’autore, interviste e parole dello stesso Wolfson, seguendolo nella genialità delle sue associazioni mentali e nel dramma della sua esistenza. Nato nel Bronx nel 1931 e diagnosticato schizofrenico sin dall’infanzia, Wolfson sviluppa un’avversione verso la figura materna tale da rifiutarne anche la lingua. Da questo disturbo nascerà una vera e propria ossessione per il linguaggio, che lo porterà a mescolare francese, russo, inglese e tedesco per recuperare una sorta di primordialità linguistica dove il segno possa corrispondere immediatamente al suono e al suo significato. Diventato caso internazionale dopo la pubblicazione di Le Schizo et les langues nel 1970, Wolfson arriverà a vivere da homeless; per più di vent’anni la strada sarà la sua casa, finché non deciderà di trasferirsi a Porto Rico, dove un colpo di fortuna al gioco gli farà vincere svariati milioni, poi perduti a causa di una frode bancaria contro la quale ancora combatte. Il lavoro di Fabbri reca traccia di tutti questi intrecci, trovando i suoi punti più brillanti quando si concentra sulle parole potentissime di Wolfson e sulle testimonianze offerte da vari studiosi – Paul Auster, tra i tanti – interessatisi alle invenzioni linguistiche di questo geniale autore ancora troppo poco conosciuto.
Parola d’onore di Sophia Luvarà (Biografilm Italia)
Coraggiosissimo documentario della regista reggina Sophia Luvarà, Parola d’onore nasce dallo sguardo discreto di una camera che entra nelle storie di cinque ragazzi calabresi, sottratti alle famiglie a causa del loro coinvolgimento in attività mafiose. Conviventi all’interno di una struttura e inseriti in un progetto di reinserimento nella società i cinque giovani vengono ripresi durante le loro attività giornaliere: le lezioni di teatro, i giochi da tavolo, i pasti, i momenti di incontro con il giudice Di Bella, loro supervisore. Tale adesione alla semplicità del quotidiano riesce a farci toccare con mano quanto i toni del dialogo, i gesti più insignificanti e persino le loro relazioni affettive siano il frutto di un’educazione improntata all’aggressività e alla violenza. Se sin da bambini la prevaricazione diventa l’unico modo per sopravvivere in un contesto minaccioso, chi potrà mai insegnare loro quella differenza tra bene e male necessaria per sopravvivere in una società civile? È questa una delle domande più forti che Alfonso, uno dei protagonisti, rivolge alla regista stessa, lasciando lo spettatore sinceramente spiazzato di fronte alla necessità di bene, bellezza e onestà che questi giovani riescono a dimostrare nel loro impegno quotidiano per la ricostruzione di sé stessi. Quando poi la Luvarà sfonda la quarta parete rivolgendo le domande in presa diretta, il documentario assume i toni di una sorta di confessione: con approcci differenti e secondo la propria sensibilità, i protagonisti si aprono alla camera e raccontano rimorsi e sofferenze vissute, ma anche speranze che in alcuni casi li tengono in vita, permettendogli di guardare a un futuro di libertà che attende solo loro per realizzarsi. Parola d’onore si presenta insomma come una delle più belle soprese di quest’edizione di Biografilm, dandoci conferma di come in una terra così martoriata e con temi spesso usati e abusati si possano tirar fuori prospettive originali, capaci di parlarci con più umanità di vicende così drammatiche.
Letizia Cilea
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