artista Mario Borrelli
Interviste

Negli occhi, una tela: intervista all’artista Mario Borrelli

Tempo di lettura: 5 minuti

N.B. Questa intervista è stata fatta in via telematica, nel rispetto del decreto-legge del 23 febbraio 2020, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e del suo allargamento all’intero territorio nazionale del 9 marzo 2020.

 

L’arte ha sempre accompagnato l’uomo nel suo percorso evolutivo. Sin dai tempi più antichi, il bisogno di riprodurre ciò che la mente partorisce ha fatto sì che resistessero, fino ai giorni d’oggi, tracce di uomini che non sono più. Ma che saranno sempre.

Mario Borrelli ( Napoli, 1991) è uno degli artisti più interessanti nel panorama pittorico dell’hinterland napoletano. Dopo aver frequentato il Liceo Artistico di Napoli, decide di proseguire il percorso di studi completando la sua formazione in Pittura presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli. Definito dallo stesso mondo artistico di cui fa parte come “ultimo” romantico, ha aperto il suo studio personale a Casalnuovo di Napoli.

Abbiamo quindi deciso di intervistarlo.

 

Ciao Mario, grazie per aver accettato quest’intervista. Ci parleresti del tuo approccio alle arti?

Disegno da quand’ero piccolo. Inizialmente sono entrato a far parte di una crew di writers del quartiere Ponticelli, con la quale ho avuto modo di visitare diverse città d’Italia. Sentivo però che non mi bastava più. Negli anni dell’Accademia sono entrato in contatto con diversi artisti tra cui Raffaele Canoro, maestro di pittura figurativa. Da lì è stato un susseguirsi d’insegnamenti da parte di diversi artisti. Dopotutto, la pittura è sensazione: da ogni maestro estrapoli qualcosa e lo fai tuo per utilizzarlo. Dopo aver terminato il mio percorso di studi universitario ho deciso di aprire un piccolo studio. Ho condotto diverse esposizioni personali, ancor di più collettive.

 

Come definiresti la tua arte?

I miei colleghi mi hanno definito come “ultimo” romantico. Io mi reputo un continuatore della scuola di Posillipo, movimento culturale, sviluppatosi a Napoli ad inizio Ottocento, di artisti affascinati così tanto dalla luce di Napoli da volerla immortalare sulla tela. È una pittura di “sensazione”, molto lavorata. La mia pittura si estende  dal Cinquecento sino alla metà del Novecento, abbracciando quindi anche quella classica. Ad ogni modo i miei colori si rifanno sempre alla scuola di Posillipo. Posso quindi definire la mia arte meno lavorata, più materica, più romantica e meno vincolata allo studio.

 

Quali sono i soggetti delle tue opere? Qual è il tuo metodo di lavoro?

Dipingo quasi esclusivamente donne. A figura intera, mezzo busto, a volte solo il viso. La donna è l’essere perfetto. È vita, è morte. Essendo un pittore romantico, amante della bellezza in tutte le sue forme non posso che elevare la figura femminile a soggetto perfetto per le mie opere. Inoltre, rispetto all’uomo, la donna è più morbida nelle linee e quindi è anche più piacevole da lavorare. Certo, disegno anche paesaggi, ma non sono i miei soggetti principali.
Solitamente la modella viene in studio per un photoshoot. Poi lavoro sulla fotografia per agevolare il lavoro ad entrambi. Anche perché sono costretto a completare il lavoro in più sessioni in quanto utilizzo la pittura ad olio. Inoltre nei miei dipinti la pittura è materica, quindi per ottenere il risultato che desidero devo sovrapporre i colori diverse volte.

Intervista all'artista Mario Borrelli

Cosa rappresenta l’eros nelle arti?

La linea che divide l’eros dal romantico è estremamente sottile. La pittura che dipingo si rifà ad una bellezza totalitaria e appagante che prescinde dall’eros. I miei nudi sono belli e significativi, non vi è traccia di volgarità. Eppure sono estremamente affascinato dal mistico, dall’esoterico, dalla carnalità. Ed è per questo che sono oltremodo ammaliato, da artista e da napoletano, dal soggetto della donna napoletana. È il connubio perfetto della sensualità, dove il religioso e il pagano si accarezzano, si baciano. Questa donna non è casta, ma nemmeno volgare. È carnale.

Quali sono le criticità che affronta chi si occupa di arte e cultura?

A mio avviso oggi è considerata cultura tutto ciò che, in un certo senso, facilita il controllo delle masse. Noto con rammarico che i ragazzi non sono più attratti dalla bellezza visiva e questo aggrava la possibilità di sopravvivenza delle arti quali la pittura e la scultura. È come se ciò che viene avvertito come “vecchio” possa non interessare alle nuove generazioni. Questa realtà è resa ancora più triste dal fatto che ho la fortuna di vivere in una città come Napoli, che resta saldamente una delle capitali mondiali dell’arte e della cultura.

Vorrei anche porre l’accento sul fatto che eliminare dalle materie scolastiche la storia dell’arte è un abominio. Non parlo solo in qualità di artista, ma anche di persona che si guarda intorno e rabbrividisce. Un individuo che rinuncia allo studio della storia delle arti è una persona che vede a metà. In questo momento storico c’è da fermarsi e chiedersi se la strada che abbiamo delineato per le generazioni future sia quella giusta. Insomma, dare spazio alla cultura significa assaporare, rivendicare ciò che era questo paese e ciò che può tornare ad essere. Inoltre la cultura e l’arte possono rappresentare un ottimo deterrente per il contrasto della criminalità giovanile. Una mente aperta all’esplorazione, alle arti e alla bellezza difficilmente si piega al volere dell’illegalità.

Per quanto riguarda l’ambito artistico, infine, dalla metà del Novecento è il mercato, purtroppo, a decidere cosa possa o non possa essere arte.
Sono però fiducioso. Ci sveglieremo.

intervista all'artista mario borrelli

 

Hai trovato ostacoli alla tua formazione?

Per quanto riguarda l’ambito familiare sono stato fortunato: la mia è una famiglia di artigiani, abituata in un certo senso alle arti. Questo mi ha permesso di seguire la mia strada con una certa serenità. La mia è una passione viscerale che non ho potuto fare a meno di seguire, e a cui non potrei mai rinunciare. Non ho paura della morte, ma di vivere una vita inutile. Senza ciò che amo fare. Ammetto che ho la fortuna di avere accanto una persona che crede fermamente in me e che rappresenta il mio cardine nelle arti e nella vita. La mia meravigliosa compagna.

Non posso dire di non aver trovato ostacoli nel mio percorso universitario. L’Accademia sembra ormai più dirottata verso un’istruzione sulla moda nelle arti, che sull’arte stessa. Ho avuto l’impressione che anche all’interno dell’università il “vecchio” veniva malvisto. Lo trovo assurdo. La pittura non è mai antica, è sempre e solo libera espressione. Nonostante questo ammetto di aver trovato anche docenti che mi hanno incoraggiato in ciò che facevo.

Proprio per quanto riguarda le accademie d’arte vorrei esporre un pensiero. Sempre più artisti, formatisi all’università, dopo gli studi si dirigono nelle botteghe per apprendere le tecniche di pittura e di disegno. Questo mi lascia pensare che ci sia una falla all’interno delle modalità di studio erogate dalle accademie.

 

 

L’intervista è terminata. Ne approfitto per chiedere a Mario quale sia il dipinto a cui si sente più legato. Non ottengo una risposta immediata.
Lo sto guardando adesso, mi dice dopo un po’.
È il viso della mia compagna, aggiunge. Non me ne separerò mai.
Lo sento sospirare al telefono.
Lo ringrazio e riattacco.

Ed è lì che capisco.
Quest’uomo non vive d’arte ma di sensazioni.
E il pennello che danza tra le sue dita non è uno strumento, è un’estensione della sua mano.
I suoi occhi, una tela affamata.
E, per occhi abituati alle scale di grigi di un mondo troppo spesso cupo, non c’è niente di più bello.

 

 

Intervista a cura di:
Giuseppe De Filippis

 

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Giuseppe De Filippis
Studente di scienze politiche, vive a Napoli. L’attualità è l’amorevole moglie che lo fa sentire al sicuro, la letteratura la sua amante capricciosa. Inesorabilmente devoto alla poesia e all’orrido non necessariamente in quest’ordine. Ha un dattiloscritto nel cassetto. Ha da poco capito che il cassetto è se stesso.