Politically correct
Editoriali

Politically correct e libertà di parola: la sottile linea di confine

Tempo di lettura: 3 minuti

Tutto è questione di punti di vista. Lo cantava il recentemente scomparso Pau Dones degli Jarabe de Palo che “De segùn como se mire todo depende”. La nostra percezione della realtà incide anche sulla distinzione oggettivamente riconosciuta tra bene e male. Ammettere che esiste una normalità diversa per ciascun individuo è il primo passo per riconoscere la possibilità di pareri discordanti e l’opportunità di creare dialoghi costruttivi ed efficaci. È in questo contesto di pace, amore e gioia infinita che il mondo auspica, che si inserisce il tema del politically correct.

L’estremizzazione di un concetto

Cosa vuol dire essere politically correct? Prima di tutto, usando la locuzione nella sua corretta traduzione dall’inglese dovremmo parlare di political correctness, ovvero di correttezza politica. Non è altro che una efficace e ponderata scelta di termini per esprimersi in maniera non offensiva nei riguardi di gruppi o minoranze storicamente oggetto di pregiudizi. La sostituzione di termini che possono recare offesa perché pregiudizievoli nei confronti degli individui, è stata interpretata nel tempo come una sorta di bavaglio: la limitazione dell’espressione impedirebbe di comunicare efficacemente un pensiero. In effetti, il fraintendimento è piuttosto plausibile: quando si parla di comunicazione è molto facile cadere nell’esasperazione di un concetto al punto che il suo scopo iniziale viene totalmente storpiato. E finisce, come in questo caso, per essere estremizzato.

La sensazione è quella di camminare in un campo minato in cui precedentemente un’orda di cani ha espletato i propri bisogni: non c’è speranza di fare un passo sicuro perché se ti va bene pesti una merda, se ti va male becchi una mina. Nel primo caso te la cavi con un’ammonizione– che al giorno d’oggi significa almeno un paio di giorni di gogna mediatica- nella seconda ipotesi scoppia un caso mondiale che limiterà per sempre le capacità deambulatorie del malcapitato. Proprio come una mina.

Essere corretti vuol dire autocensurarsi?

Ci stiamo impegnando veramente tanto a riconsiderare i parametri che rendono le nostre affermazioni corrette da un punto di vista umano. Non soffermiamoci a considerare la loro correttezza, poi, sotto l’aspetto ortografico e grammaticale, perché sarebbe una battaglia persa in partenza. Ci arrovelliamo per trovare modi alternativi di definire gli individui, scoprire nuove definizioni che indichino questa o quella categoria. Salvo poi fare un passo indietro quando ci rendiamo conto che gli esseri umani non si possono categorizzare. E in questo travolgente tango di cosa si può dire e cosa no, tante volte preferiamo il silenzio. Un silenzio che non giova perché vuol dire autocensurarsi. La libertà di espressione si limita anche così. Demonizzando ogni parola perché ha un doppio senso, perché è detta male, perché poteva essere detta diversamente. Se esteso, il concetto, assume il senso di intimidazione sociale. E il politically correct passa da essere uno strumento con cui “moderare” le voci delle masse a un vero e proprio silenziatore di popoli. Per evitare che le nostre parole risultino offensive, annientiamo noi stessi e ci rendiamo inoffensivi.

Pesare le parole

Se è vero che la mia libertà finisce dove comincia la tua è pur vero che nei migliori rapporti- che siano di amicizia, di amore, di collaborazione, di famiglia- l’aspetto migliore è rappresentato dalla possibilità di parlarsi sinceramente, senza aver paura di ferirsi a vicenda, senza temere di dover cesellare la forma di ogni parola. Gran parte delle incomprensioni generate dal confronto verbale derivano dalle percezioni di ciascun interlocutore: se parto dall’idea che mi sento giudicato, ogni cosa che uscirà dalla tua bocca sarà per me un giudizio. Le parole hanno un peso, certo, ma vanno misurate al netto delle nostre percezioni.

Margherita Sarno
LEGGI ANCHELicenziati e condannati su Zoom: la nuova comunicazione efficace
TI SEI PERSO IL CRONACHE DI UN BORDERLAIN DI QUESTO MESE? Clicca qui

Leave a Response

Margherita Sarno
Nata in una domenica di maggio, dedita agli studi linguistici trasformatisi poi in islamici, dopo la laurea diventa giornalista. Scrive per chi ama l’informazione pulita, per chi vuole ritrovarsi nelle parole che evocano sentimenti comuni e soprattutto per chi cerca la compagnia tra le righe.