Se parliamo di comunicazione dobbiamo ammettere che viviamo nella sua epoca aurea. Gli strumenti non sono mai stati così efficaci e le connessioni tra persone non sono mai state così capillari. Siamo collegati ovunque con chiunque, attraverso dispositivi che fino a qualche anno fa pensavamo sarebbero stati usati solo nelle missioni spaziali. Eppure davanti a tanta efficacia tecnologica, la componente umana fa giganteschi passi indietro. All’aumento di una complessità strumentale corrisponde una diminuzione dell’elemento empatico: assistiamo all’impoverimento degli umani sensi che ci permettono di stabilire una connessione tra esseri della stessa specie.
Non tutto è andato bene
Durante questi mesi in cui siamo stati costretti all’isolamento, ciascuno nel proprio angolo di casa, armato di tablet, smartphone e pc, ha riconosciuto ancor più valore ai dispositivi elettronici che ci permettevano di uscire dalla solitudine imposta. La tecnologia ci ha permesso di continuare a svolgere il nostro lavoro da casa, comunicare con i colleghi, con i clienti, con i superiori, il più delle volte salvando posti e mettendoci al riparo da spiacevoli situazioni di stallo. Non è andato, però, sempre tutto bene.
A metà maggio, Uber aveva comunicato il licenziamento di 3500 impiegati attraverso un’unica chiamata su Zoom. Una videochiamata di tre minuti in cui la direttrice del Centro di Eccellenza Uber di Phoenix, Ruffin Chaveleau, aveva riferito ai dipendenti che, a causa di un calo del lavoro dell’80%– dovuto alle conseguenze dell’emergenza sanitaria- al termine di quella conversazione, per 3500 assistenti alla clientela non ci sarebbe stato più lavoro. Così la WW International, nota come Weight Watchers, aveva licenziato 4000 impiegati in tutto il mondo con la stessa modalità: videoconferenza simultanea. Perché fare 4000 telefonate sarebbe stato poco pratico, quindi la videocall è parsa ai manager dell’azienda molto più efficace. La pensava allo stesso modo il CEO della californiana Bird, azienda che produce monopattini, che si è disfatta del 30% dei suoi dipendenti con una videocall su Zoom, reputandolo un metodo- come dichiarato alla BBC- molto più “umano”.
Al di là dell’empatia
Posto che il concetto di umanità andrebbe totalmente rivisto, il licenziamento attraverso Zoom ha davvero dell’assurdo. Al di là dell’aspetto empatico, che viene a mancare in un momento delicato come quello della comunicazione della perdita del lavoro, si inseriscono una serie di fattori che fanno sembrare il momento totalmente surreale. L’asincrono, ad esempio: la notizia viene comunicata e percepita dai vari destinatari con più o meno ritardo. Estremizzazione dell’asincrono è il ritardo con cui si prende parte alla call. Un dipendente che non riesce a collegarsi per tempo e che percepisce solo una parte del messaggio, deve apprendere del suo licenziamento da un collega che ha avuto la fortuna di collegarsi dal primo secondo. Questo sarebbe il metodo che rende le cose più facili ed umane.
Che fortunati siamo noi italiani, però. La legge non ammette un licenziamento comunicato su Zoom. O meglio lo ammette se questo viene corredato da una comunicazione scritta. Abbiamo dei precedenti: nel 2017, il Tribunale di Catania ha riconosciuto come valido il licenziamento tramite Whatsapp. In effetti, il sistema di messaggistica è stato riconosciuto come documento informatico dal Codice dell’Amministratore Digitale in quanto possiede caratteristiche di sicurezza, integrità ed immodificabilità e si può riconoscere mittente, destinatario, ora e data di lettura. Ecco a che servivano quindi le spunte blu, verrebbe da dire. Su questa scia, in futuro, le modalità di licenziamento telematico potrebbero essere, dunque, legittimate e ciascuno potrebbe aspettarsi il peggio da una videocall non pianificata.
E se non perdi il lavoro ma perdi la vita?
Dalla perdita del lavoro alla perdita della libertà. O della vita. Tornando ancora allo scorso mese, ci spostiamo a Singapore, dove il malesiano Punithan Genasan, imputato per un reato di droga, ha dovuto collegarsi online dalla prigione per sentirsi condannare a morte. Certo, ricevere la notizia in presenza non sarebbe stato più piacevole, ma era davvero così necessario ed urgente mettere in collegamento telematico un imputato in carcere ed il suo difensore- per giunta confinato a casa sua- per comunicargli la sentenza alla pena capitale? Tant’è che anche Amnesty International e la Commissione per i Diritti Umani se ne sono interessati, accusando il tribunale di Singapore di perpetrata crudeltà.
C’è da dire che il difensore dell’imputato ha fornito una recensione molto positiva della call: il giudice in collegamento si vedeva e sentiva chiaramente. Se ci è permesso notare l’ironia del caso, il messaggio è arrivato forte e chiaro: la comunicazione qui è stata efficace.
Purtroppo il lato e la presenza Umana spariscono sempre di più.. Lasciando spazio ad altri strumenti usati per comunicare sia cose sgradevoli che non in modo meno personalizzato, meno diretto e meno sincero…
Non è lo stesso dire qualcosa ad una persona avendola di fronte e potendo guardarla ed osservare il suo stato d’animo che comunicare a distanza senza neanche vedersi..
La comunicazione di decisioni molto delicate come il licenziamento dovrebbe, a mio avviso essere preso in carico in modo curato ricordandosi che davanti c’è una persona e non un robot che è stato al servizio dell’azienda . . .
Grazie per il tuo commento Maria. Purtroppo è proprio così: la componente umana si sacrifica per lasciare spazio alla sterile tecnologia, che per quanto può essere utile in molte circostanze è comunque uno strumento troppo freddo in certi casi.
Grazie ancora e continua a seguirci 🙂