Lo sapevamo già.
Che Indro Montanelli avesse un passato, politico e morale, quantomeno discutibile, lo sapevamo già. E lo sapevamo da sempre, tanto che la questione ha preso rilievo in diversi momenti della storia repubblicana (ma anche prima). Oggi sembra essere tornata di moda, in virtù delle manifestazioni anti-razziste all over the world, la storia del suo “matrimonio” eritreo. Ma Montanelli è morto da un pezzo e a farne le spese è stato il monumento, dedicatogli post mortem a Milano.
Sono arrivate, da diverse parti del mondo, le immagini dei manifestanti che imbrattano o addirittura abbattono monumenti di personaggi storici che hanno avuto a che fare con politiche razziste o schiaviste. Bisognerebbe tirare giù la quasi totalità dei monumenti, direte voi, dall’antico Egitto ai più recenti regimi. La sottomissione e la schiavitù dei popoli nemici (o semplicemente più deboli militarmente) sembra aver innalzato le più grandi civiltà del passato, da che ne abbiamo contezza storica.
Tanto varrebbe, si dice, abbattere il Colosseo (non per forza luogo comune è sinonimo di idiozia), non solo per come costruito ma anche per come gli schiavi venissero massacrati al suo interno per diletto del pubblico (se proprio non piacciono i libri, si può sempre guardare “Il Gladiatore”). Oppure, se è più gradito, distruggere le opere di Gauguin o dare alle fiamme quelle di D’Annunzio.
Fatto sta che in Italia è toccato a Montanelli, ma esattamente perché ci si accanisce contro la statua? A che pro? Ma soprattutto, che c’entra la Storia?
La 12enne donna da marito
Questo è il motivo per cui, oggi, si è arrivato a chiedere l’abbattimento della statua. Il “matrimonio” di cui sopra, altro non era se non una compravendita tramite contratto, pratica detta madamato. Secondo gli usi eritrei dell’epoca le donne, infatti, venivano semplicemente vendute dal padre al futuro marito, dietro compenso e in età da noi considerata tenera. Montanelli, poi, ha dato diverse versioni dei fatti. Una volta la ragazzina si chiamava Destà e aveva 14 anni, un’altra Fatima e di anni ne aveva 12.
Ad ogni modo, queste azioni, che qualificherebbero Montanelli come razzista, colonialista e schiavista, non lo renderebbero meritevole di commemorazione, non con un monumento quantomeno (o forse si, però in museo).
Damnatio memoriae, dunque?
Contestualizziamo
Chiaramente, non tutti sono d’accordo. A ragione, in tanti dicono che gli eventi in esame non possono essere letti con gli occhi dei cittadini europei del 2020, bisogna contestualizzare.
Montanelli stesso ha affermato che, in quel preciso momento storico e in quel preciso luogo, semplicemente si faceva così; egli, tutt’altro che violentemente, ha assecondato le usanze e i costumi. C’è di più, il giornalista non ha mai mostrato nessun tipo di pentimento circa l’accaduto; anzi, ha sempre rivendicato la legittimità e la bontà del proprio operato, quasi fregiandosene.
Avallare questa tesi, però, sembra una soluzione altrettanto semplicistica e schierata. Questa storia della contestualizzazione sembra sia usata a dire che un comportamento del genere fosse accettabile, ai tempi, come oggi è normale che uno compri un tipo di scarpe più che un altro perché va di moda. Eh no!
Perché no?
In primis, perché all’epoca dei fatti (siamo intorno al 1930) in Europa avere rapporti sessuali con 12enni non era affatto considerato normale o encomiabile. Poi perché, proprio per questo, il seppur giovane Montanelli, nel pieno delle facoltà morali e intellettive, ha liberamente scelto di possedere e comprare (per il sesso) una bambina di 12 anni. Una scelta, dunque, pienamente consapevole e tutt’altro che non rimproverabile, almeno sul piano morale.
È certamente vero che, all’epoca, ciò potesse risultare meno raccapricciante di quello che appare oggi, ma non per questo si era obbligati a commetterlo. Contestualizzare non vuol dire che gli uomini che vivono in un determinato periodo storico siano vittime inermi delle visioni dominanti del tempo e del luogo che abitano; che non abbiano possibilità di scelta o libero arbitrio. È verosimile, infatti, che, anche all’epoca, in tanti, a parità di condizioni, avrebbero agito (e sicuramente sarà accaduto) diversamente. Affermare il contrario sarebbe come dire che in Germania o in Italia nel ’40 c’erano solo fascisti e nazisti. Affermare il contrario sarebbe, dunque, voler negare la Storia.
Insomma più che “figlio del suo tempo” come ha detto Travaglio, il suo mentore sembra uno che della storia del suo tempo (probabilmente anche ai propri occhi) si è fatto scudo.
Visioni condizionate
Montanelli è stato un grande giornalista e storico, influente come pochi nella storia repubblicana, alla quale la sua esperienza di vita è oltremodo legata; entrambe vittime di una influenza reciproca. Uomo di grande cultura e di – è lampante – dibattuta moralità. A dirla tutta, anzi, scrisse anche di presunte superiorità di razza, salvo poi pentirsene in seguito.
Tutt’altro che innocente insomma, ma una dubbia moralità deve per forza inficiare il valore culturale, artistico o professionale di un individuo? Non proprio, anche in ragione del fatto che il concetto di moralità ha contorni non definiti (come testimonia il monumento stesso) e varia di epoca in epoca (che poi sarebbe l’argomento mal posto dei, li chiameremo così, contestualizzatori).
Ci sarebbe da chiedersi, inoltre, se quella statua effettivamente inneggi a politiche razziste oppure sia il monumento dedicato, più che altro, alla carriera professionale di un uomo dall’esperienza di vita non proprio cristallina. Cioè se si voglia celebrare la parentesi fascista e colonialista o, più semplicemente, una carriera (e indirettamente la professione) del giornalismo.
Che c’entra la Storia?
Ma anche al netto di questo, un monumento (di qualsiasi natura) altro non è che memoria e testimonianza storica di società, politica e eventi passati; anche se disgustosi. Tutto questo, senza considerare minimamente il fatto che (fosse pure raffigurante Paperino) esso è un’opera d’arte scultorea, patrimonio culturale e artistico. Costringerlo all’oblio vuol dire negare la cultura e la Storia.
Eccola la Storia, usata a scusante delle azioni montanelliane dai contestualizzatori e, di contro, agnello sacrificale degli odierni manifestanti, quando né all’una né all’altra fazione essa appartiene. Tutt’altro, censurare la Storia e le espressioni culturali indigeste è stata prerogativa dei più spietati regimi totalitari in cui non è ammessa l’opinione contraria (si ricordino i roghi di libri a Berlino, qualche anno dopo i fatti che abbiamo trattato).
La Storia non deve essere demolita e condizionata, non può essere in balìa di nessuna visione politica e sociale (pur lodevole) che vuole ridisegnarne le verità. Quantomeno non in una democrazia, ove almeno in linea teorica, si hanno strumenti molto più efficaci per far valere le proprie ragioni che buttare giù i monumenti. Anche perché, altrimenti, non saremmo poi così migliori di quegli stessi oppressori dei quali ci lagnamo.
Più che assicurare i diritti umani, negare ciò che è stato, altro non fa che innescare ulteriori negazionismi contro i quali dovranno difendersi, in futuro, quegli stessi diritti che oggi si vogliono garantire.
Enzo Panizio
Leggi anche: “12 giugno e apartheid: storie di una segregazione mai finita“
Ti sei perso il “Cronache di un Borderlain” di questo mese? CLICCA QUI