Attimo fuggente
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“L’attimo fuggente” trent’anni dopo: quale sarà il tuo verso?

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Nella raccolta di saggi dal titolo Perché leggere i classici, Italo Calvino redige un elenco delle ragioni per cui, anni dopo la loro prima apparizione, alcune opere siano in grado di restare immuni all’invecchiamento causato dal passare del tempo. Nessun ingiallimento di pagina, nessun anacronismo si ritrova nel fare di nuovo esperienza di quella materia che in realtà “non ha mai finito di dire quel che ha da dire“. È la magia della grande arte, grazie alla quale ogni nuovo incontro con una pagina, una nota, una scena o un pigmento di colore, è una scoperta capace di schiudere nuove prospettive sul mondo e su se stessi.

Scegliere “la strada meno battuta”

Di questa stessa magia vive, a trent’anni dal premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale, ogni singolo fotogramma de L’attimo fuggente, film capolavoro di Peter Weir entrato a ragione nell’olimpo dei grandi classici del cinema del secolo scorso.

Il racconto sgorga dalla penna di Tom Schulman, autore della sceneggiatura e protagonista delle storie in essa narrate: la vicenda è ambientata nei luoghi dell’alta borghesia americana post-bellica, quella classe benestante convinta che le magnifiche opportunità della nuova società capitalista fossero lì per essere colte dalla propria talentuosa prole.

Una generazione di adolescenti desiderosi di avventure, che nel 1968 avrà l’età giusta per partecipare a una rivoluzione vera. Nel 1959 quella stessa prole si trova però reclusa tra le mura della Welton Academy per un altro durissimo anno scolastico. Le grandi passioni di ciascuno di loro sono destinate a essere messe da parte in nome della responsabilità del successo:  un destino da avvocato, da medico, da broker, tutto già predisposto per costruire la classe dirigente del futuro.

La vita di questi giovani sarebbe insomma già bella che impacchettata, se non fosse che l’arrivo del professor Keating (magnetico Robin Williams) è destinato a sconvolgere le loro esistenze. Come nuovo insegnante di lettere, Keating incontrerà i suoi studenti proprio su quella strada “meno battuta” che il poeta Robert Frost si augurava di imboccare per scoprire il senso della vita. La poesia vista attraverso gli occhi del loro maestro diventa così qualcosa di radicale e assoluto: da pura e semplice teoria si trasforma in metodo per giungere a fare esperienza vera delle parole e del loro significato. Attribuire tale valore alla letteratura permetterà di guardare i testi, lo studio e la propria vita da prospettive mai immaginate.

Succhiare il midollo della vita

Libertà di pensiero e di parola sono dunque la chiave per instillare nuovo entusiasmo nella quotidianità dei ragazzi, che riscoprono le loro reali aspirazioni e si confrontano con grandi paure. Ciascuno di loro, osservato sin nelle sue più piccole ma appassionanti banalità quotidiane, viene ritratto nell’affannata corsa alla ricerca del suo posto nel mondo: Neil riscopre l’amore per la recitazione, ma non sa come dirlo al padre autoritario; il novellino Todd riconosce la propria voce poetica, ma non riesce a esprimerla davanti alla classe; l’affascinante Knox è innamorato, ma non è in grado di dichiararsi.

Mettendo in scena questo nuovo sguardo sul mondo il film individua con grande precisione le reali problematiche che un’adesione così profonda alla materia poetica è in grado di suscitare: seguire le orme di Thoreau nella foresta per “succhiare il midollo della vita” significherà dunque avere il coraggio di confrontarsi con le parti più oscure di se stessi, tentare di trovare una propria voce e affermarla al di là delle imposizioni delle autorità genitoriali o sociali.

Zone d’ombra e identità

Con la consapevolezza che dall’esplorazione delle proprie zone d’ombra si potrebbe addirittura non tornare, il film passa dai toni ironici alla messa in scena di un dramma, quello che la ricerca della propria identità pone davanti a un giovane ragazzo affamato di risposte: nessuna mezza misura, nessun cedimento alle soluzioni semplici; nei suoi esiti più drammatici L’attimo fuggente ci parla anche dei pericoli fatali che si corrono quando si assolutizza la propria vocazione, perdendo di vista quella realtà che l’esperienza dell’arte ci aveva aiutato a individuare con più precisione. Non esistono soluzioni definitive, le concessioni ai buoni sentimenti non sono contemplate: come in tutti i veri classici il film si chiude con un sacrificio, un saluto appassionato a un maestro e un’apertura al futuro. Una realtà ancora da venire, con la quale ci si potrà però confrontare grazie a una nuova consapevolezza: quella di poter contare sull’arte e sulle sue rivelazioni, affinché tramite il suo linguaggio la domanda su noi stessi e sulla nostra vita possa ancora essere posta.

«[…] Cosa c’è di buono in tutto questo, oh me, oh vita?

Risposta:

Che tu sei qui – che la vita esiste, e l’identità,

Che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi con un verso»

 

Quale sarà il tuo verso?

 

 

Letizia Cilea
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