“I can’t breathe!”. Con questo grido di morte George Floyd ha lasciato questa terra, assassinato da un poliziotto che l’ha soffocato tenendogli il ginocchio premuto sul collo per diversi minuti, in quel di Minneapolis – nel Minnesota.
La sua colpa? Essersi rifiutato di scendere dalla macchina. L’aggravante? Essere nero. Nulla di più, nulla di meno. Secondo la prima ricostruzione, alcuni agenti di polizia avrebbero raggiunto George Floyd su segnalazione di un commerciante che li aveva allertati per denunciare un uomo che aveva usato una banconota da venti dollari falsa.
Arrivati sul posto, gli agenti si sarebbero avvicinati all’auto di George e gli avrebbero chiesto di scendere. Al suo rifiuto lo hanno ammanettato, immobilizzato a terra e soffocato. George Floyd era disarmato ed era in condizioni di salute precarie. Ma l’aggravante dell’essere nero aveva ormai acceso la miccia dell’odio razziale che non ha mai abbandonato alcune testoline a stelle e strisce, ed è così che uno dei poliziotti – Derek Chauvin – ha deciso di soffocare George Floyd schiacciandolo con tutto il suo peso sul collo dell’afroamericano. Un’esecuzione in piena regola, ripresa dal video di un passante che ha assistito alla scena ed ha poi diffuso le immagini che hanno fatto in brevissimo tempo il giro del mondo.
Il video
Dieci minuti di strazio. Dieci minuti di follia, durante il quale si vedono immagini molto forti e si percepisce la disperazione di George Floyd, immobilizzato dal suo aguzzino. “Non uccidetemi, non riescono a respirare”, ha implorato più volte, ma senza successo. Nel video si sentono le voci di alcuni passanti che chiedono di liberarlo, ma nulla. Gli altri agenti non fanno nulla, mentre Derek Chauvin porta a termine l’esecuzione. Floyd smette di muoversi, viene sistemato su una barella e caricato su un’ambulanza quando – probabilmente – era già morto.
Chi è Derek Chauvin
Che Derek Chauvin fosse avvezzo a certi comportamenti sopra le righe era chiaro a tutti. In 19 anni di carriera l’assassino di George Floyd vanta numerose denunce per violenza, una causa relativa ad un’accusa dei diritti costituzionali federali di un prigioniero, e diversi episodi nei quali aveva impropriamente usato metodi non proprio ortodossi.
Per difendersi legalmente Chauvin ha scelto l’avvocato che riuscì a spuntarla in merito all’omicidio di Philando Castile, afroamericano ucciso nel 2016 dall’agente Yanez. L’ennesimo omicidio rimasto impunito che scatenò le proteste di Black Lives Matter. Una consuetudine tutta americana visto che dal 2013 al 2019 il 99 per cento delle uccisioni compiute da agenti in servizio non hanno avuto ripercussioni penali.
Le reazioni
Le reazioni alla morte di George Floyd sono state violente, immediate. Il sindaco di Minneapolis, Jacob Frey, ha chiesto l’immediato arresto dei colpevoli dopo aver ufficializzato il licenziamento di quattro poliziotti. “Quello che abbiamo visto è sbagliato a ogni livello, essere nero negli Stati Uniti non dovrebbe essere una sentenza di morte” ha dichiarato il sindaco Frey.
Nel pomeriggio migliaia di persone si sono riversate in strada per manifestare contro l’ennesimo omicidio dettato dall’odio razziale. Hanno sfilato scandendo lo slogan “Non posso respirare“, dal luogo dove Floyd è stato ucciso fino al distretto locale di polizia.
Le proteste non hanno riguardato solo la città di Minneapolis. L’ex giocatore NBA Stephen Jackson ha espresso tutto il suo dolore per la scomparsa di un “fratello”, conosciuto in Texas e col quale aveva trascorso diversi anni. “Tutti sanno che ci chiamavamo l’un l’altro ‘gemello’. Era andato in Minnesota per cambiare la sua vita guidando camion, gli avevo mandato due o tre scatole di vestiti, stava facendo la cosa giusta. E voi avete ucciso mio fratello. Ora andrò a Minneapolis, farò tutto ciò che mi è possibile per non far passare la vicenda sotto silenzio” ha scritto sul proprio canale Instagram Stephen Jackson.
Anche la stella dell’NBA LeBron James ha ricordato George Floyd, postando l’immagine del soffocamento. “Adesso capite? O siete ancora confusi? #StateAllerta“.
Colin Kaepernic
Qualche anno fa il giocatore di football americano Colin Kaepernick decise di inginocchiarsi durante l’inno nazionale suonato prima di ogni partita di football americano. La sua era una protesta pacifica contro l’ingiustizia razziale in America. Kaepernick, col suo gesto, aveva deciso di sfidare un Paese ancora alle prese con il problema razzismo, nonostante le morti ed i soprusi.
Il suo gesto fece il giro del mondo e fu imitato da molti giocatori professionisti, inizialmente nella Nfl e poi in altri sport. Dopo aver deciso di rescindere il contratto con i San Francisco 49ers a marzo 2017, Colin Kaepernick è rimasto senza contratto per diversi anni. Il suo gesto, oggi, assume un significato ancor più profondo ed intenso.