Siamo appena all’inizio del nuovo anno e l’Italia boccheggia. Il virus COVID-19 partito dal focolaio della città cinese di Wuhan sta piegando in due il nostro paese provocando non pochi disagi. E mentre il sistema arranca, anche i fragili equilibri politici e sociali faticano a restare in piedi.
Inversione di ruoli
In un’Italia notoriamente unita solo su carta e da sempre macchiata da un razzismo Nord-Sud, la grave situazione che sembra essersi concentrata maggiormente nel nord del paese non ha fatto altro che alimentare discorsi politici e offese vicendevoli tra i due poli dello stivale. Sui social non mancano vignette facenti riferimento ad un’inversione dei ruoli, per cui dal famoso slogan di “Napoli colera” ora pare siano i lombardi a dover imparare la lezione, quasi come una legge del taglione.
L’inversione di ruoli, seppur in termini diversi, riporta alla mente quando la zona rossa era proprio il Sud, quando Napoli colera cercava con fatica di uscire dall’epidemia che frantumava un già di per sé debolissimo sistema economico e sociale. In passato, una giornalista e scrittrice del secolo scorso aveva crudamente messo in luce una realtà che ci permette di guardare all’Italia del COVID-19 attraverso gli occhi di Matilde Serao e il ventre di Napoli distrutto dal colera.
Il colera a Napoli
Napoli non ha una storia facile: costellata di eventi, versioni, colpe e voci inascoltate, tra i tanti momenti difficili che ha dovuto superare a partire dalla tormentata Unità d’Italia, l’epidemia di colera ha avuto sicuramente un ruolo centrale. Potremmo quasi dire che ha scandito le sue fasi di ribalta: ad ogni epidemia di colera cadenzata corrisponde, nella storia di Napoli, una rivincita.
Nella seconda metà dell’ottocento, il vibrio cholerae arrivò alle pendici del Vesuvio ben due volte e non contento, tornò novant’anni dopo, nei recenti anni ’70 (1965-1973, l’epidemia che ci costò il lusinghiero appellativo di cui sopra). La prima fu decisamente più devastante a causa delle precarie condizioni igienico sanitarie in cui il popolino viveva. La seconda, seppur meno grave, fu pura vergogna: nel boom economico che la città viveva, il suo oscuro e sporco passato tornò a farsi sentire più forte che mai. Alla vergogna subentrò la rabbia e l’allarmismo che lasciarono un segno profondo nella percezione della città.
Matilde e il ventre di Napoli
Nel 1884, lo scoppio del colera a Napoli fece riemergere più forte che mai la polemica della questione meridionale.
Napoli è povera e si porta gli strascichi di un regno antico e un’unione e un’identità blanda. Il sindaco scrive al Presidente del Consiglio Depretis per metterlo al corrente della grave situazione e una giovane Matilde Serao sceglie di contribuire alla causa, distruggendo agli occhi della borghesia lontana l’immagine della Napoli tutta Chiaia e Posillipo, nel tentativo di mostrare il lato bello di quella plebe da loro considerata fuori dalla storia e dai princìpi basilari dell’umanità.
È proprio il ventre, il cuore pulsante del popolo basso che Matilde studia e analizza fisiologicamente per mostrare al proprio governo una città dimenticata. Nata da padre napoletano in esilio, emancipata e nel pieno della sua carriera da giornalista, la Serao inizia il suo ventre di Napoli come un’inchiesta giornalistica ma finisce per rivolgersi direttamente al governo, minimizzando le stesse parole di Depretis e gustando poi amaramente la vittoria del piano risanatore.
Nonostante tutto Matilde osserva con famelica curiosità le consuetudini che la povera gente mette in atto per contrastare il tutto. In ogni capitolo le parole disegnano un quadro partenopeo tutto fatto di invocazioni a santi e madonne e di giochi del lotto, a dimostrazione di uno stato completamente assente e ad una vicinanza nazionale pressocché nulla.
Vittime della malattia o della paura?
L’allarme di Matilde era più che doveroso, se analizziamo il contesto: più di 7500 morti nella sola città di Napoli (tra cui anche lo scrittore Giacomo Leopardi), ancor prima che si estendesse al resto del territorio nazionale e mietesse altre vittime. I napoletani iniziarono a pensare che si trattasse di un complotto per far fuori l’umanità scomoda. L’Italia guardava a Napoli come un formicaio da cui stare alla larga e la stessa politica approfittò del piano risanatore per speculare più che per civilizzare realmente la città, data come sempre quasi per spacciata.
Il ventre d’Italia affetto da COVID-19 sta soffrendo, e maggiormente soffre a causa del cocktail letale di psicosi, ignoranza dilagante, menefreghismo, paura e assenza di raziocinio che caratterizzano la popolazione e l’informazione. L’opera della Serao fa perciò riflettere, e fa trasparire la grande forza dei partenopei che si rispecchia negli italiani e dei cinesi di Wuhan, oltre all’«allarmismo giustificato» che con il virus di oggi non può avere a che fare.
Oggi come allora la confusione e l’ossessione tematica (accompagnati da una buona dose di ignoranza) scavano fossati tra chi di qua e chi di là. Se non fosse che sono passati due secoli: ed è proprio questa la triste attualità di Matilde Serao, nel ventre del COVID-19.