Ogni essere umano giudica. È un comportamento di cui, purtroppo, sembriamo non essere in grado di fare a meno ed è un mezzo tanto di attacco quanto di difesa.
Gli animali lottano fra di loro per imporsi nel branco, l’uomo lo fa nel gregge della società: giudica per affermarsi e sentirsi migliore.
Ciò è vero da sempre, ma lo è diventato ancora di più negli ultimi anni con l’avvento dei social network. Tra i principali “luoghi” di interazione sociale, quest’ultimi sono divenuti cassa di risonanza dei pareri altrui: al ritmo dei like su Instagram e dei commenti sotto i post di Facebook, il giudizio corre online senza più quei filtri e limitazioni che la vita reale, invece, impone.
Così, ormai perso ogni rispetto, ci si sente sempre più liberi di criticare qualsiasi aspetto di vite sempre più esposte nelle vetrine social, fino ad arrivare a prendere di mira il corpo altrui in una guerra all’ultimo commento.
Parliamo allora di “Body shaming”, ovvero “derisione del corpo”, un fenomeno che avviene anche nella vita reale ma che è stato notevolmente amplificato dalla rete rendendo necessario parlarne per poterlo comprendere e combattere.
Nuove forme di discriminazione.
Strettamente legato ad un canone estetico tanto rigido quanto irreale, il Body shaming mette sotto accusa quei corpi che ad esso non sono conformi, demonizzando la bellezza della diversità fisica e giustificandosi spesso come “consiglio”. Consiglio che però di utile ha ben poco e che ha come unico scopo l’imposizione di un canone, senza possibilità di scelta. Consiglio che, quindi, ha il sapore della discriminazione e che di certo non è privo di conseguenze.
Le implicazioni.
Chi è vittima di Body shaming viene attaccato su un aspetto, il corpo appunto, con cui ogni essere umano ha una relazione estremamente privata. Il corpo è parte integrante della nostra identità, oltre che il mezzo con cui ci interfacciamo al mondo. Ciò significa l’ovvio, ovvero che ogni individuo nel corso di tutta la sua vita deve fare i conti con il proprio fisico e non sempre con esiti positivi.
Spesso, anzi, si fa fatica ad accettare il proprio aspetto e anche quando non lo si rifiuta totalmente c’è una parte di esso che si desidera cambiare.
La degenerazione.
Così è per la maggior parte delle persone ma, difficilmente, in una società che ci chiede di essere perfetti, lo si condividerà con qualcuno. Nessuno può, quindi, sapere con certezza come un individuo viva il rapporto con il proprio corpo e dunque nessuno può sapere come possa prendere eventuali commenti sullo stesso, anche se sono spacciati per “consigli” o peggio ancora per “battute”.
D’altra parte nessuno sarà lì con lui a ricordargli che era una “battuta” quando alla sera si guarderà allo specchio e le parole che si è sentito dire deformeranno nella sua testa l’immagine che vedrà, e tutto ciò spesso può avere effetti distruttivi su chi già non riesce ad accettarsi. Effetti che saranno in primo luogo psichici, quali perdita dell’autostima, stati d’ansia e scoraggiamento e che avranno poi una profonda incidenza fisica portando nella maggior parte dei casi allo sviluppo di disturbi alimentari.
Questo perché, sopratutto in Italia, il modello corporale imposto incita ad una magrezza quasi patologica, che diventa sinonimo di bellezza.
Così, chi non entra in una taglia quaranta è preso solitamente più di mira fino ad adottare un regime alimentare scorretto. Il Body shaming si traduce dunque molto spesso, anche se non sempre, in Fat shaming.
Come reagire.
Davanti a tale situazione è necessaria una rivoluzione di pensiero radicale. Per arginare il Body Shaming la strada non può essere semplicemente quella di evitare i commenti sul corpo altrui senza che sia avvenuto a monte un cambio prospettiva. Così si impara semplicemente a tollerare e non ad accettare.
Per questo dovremmo storcere il naso quando ci parlano di “modelle curvy”: quel “curvy” è segno di una finta accettazione che sa più di tolleranza e che subdolamente ricorda che quelle ragazze sono diverse da come una modella (al cui nome non segue mai “skinny”) dovrebbe essere. Diventano una categoria a parte, diventano “curvy”.
Perché allora un cambio di prospettiva avvenga, dobbiamo però superare il canone di bellezza standardizzato per arrivare a riconoscere l’unicità in ogni persona, ricordandoci che prima di essere corpi siamo esseri umani.