Quando sembra essere sparito il Centro, Matteo Renzi fonda un partito aggiungendosi agli impavidi Toti e Calenda
Settembre è il mese dell’inizio. A Settembre ricomincia tutto: è il mese delle decisioni, dei progetti a lungo termine; nuove fucine di idee nascono. Questo Settembre è il mese del nuovo governo, il momento florido di Giuseppe Conte che sembrava avere preso la scena. A rubargliela è Matteo Renzi
Due giorni fa un fulmine taglia il cielo plumbeo del Partito Democratico: Matteo Renzi abbandona il partito e fonda “Italia Viva”. La questione era nell’aria da qualche giorno ma si attendeva il decennale della Leopolda per scoprire i piani dell’ex segretario Renzi. Solo Domenica aveva, infatti, annunciato che alla Leopolda di fine Ottobre avrebbe fatto un’importante rivelazione. Tutti aspettavano di sentire la parola “scissione” in quella sede, invece verrà sollevato il drappo bordeaux dal nuovo simbolo.
In un post su Facebook, Renzi dice di non riconoscersi più nel Partito Democratico. Rivela quanto sia un partito vecchio e come in questo momento storico non serva un modello partitico novecentesco. Voci sarcastiche affermano come la pazienza di Matteo Renzi sarebbe finita dopo aver sentito intonare “Bandiera Rossa” alla Festa dell’Unità di Ravenna. Può essere sicuramente considerata una suggestione di colore ma suggerisce l’elemento della distanza fra Renzi e la sinistra italiana: un fatto da tenere in considerazione nell’analisi della sua scelta.
Non è falso sostenere che Matteo Renzi non sia di sinistra. In effetti la storia dell’ex segretario Dem appartiene più al centrismo italiano. Un nobiluomo campo della politica italiana che però, mescolato alla storia del Partito Democratico, ha prodotto scontenti e malumori.
Se da una parte la cultura politica di Renzi ha portato nuovi iscritti al PD, dall’altra ha frustrato chi in quel partito era entrato per un percorso politico complicato che trova le radici nel Partito Comunista Italiana.
L’atteggiamento borderline di Matteo Renzi che ha imposto una direzione fortemente maggioritaria ha trovato la contrarietà di molti producendo una prima scissione voluta da Pier Luigi Bersani.
Matteo Renzi è un autista, un condottiero al quale piace sentire il volante sotto le dita. Ha una personalità che soffre se confinata nel sedile del passeggero pur avendo una modesta influenza sui gruppi parlamentari del Partito Democratico. Con la segreteria di Nicola Zingaretti il Partito sta riscoprendo la propria cultura precedente la segreteria renziana. Questo elemento trascina Matteo Renzi in una condizione di subalternità non essendo più in grado di tirare il partito verso il centro. Si trova spaesato, immerso in quel modo culturale che per anni ha descritto come fermo al tempo dei gettoni telefonici.
Costruisce, quindi, un soggetto di centro suscitando l’impressione di frenesia, di una scelta assunta d’impulso. In un tempo in cui il centro sembra spazzato via dalla polarizzazione, nel momento nel quale Carlo Calenda e Giovanni Toti si stanno impegnando anch’essi nella fondazione di movimenti di centro, Renzi sceglie di occupare lo stesso spazio.
Una mossa che appare poco meditata e frutto dell’ansia di avere voce nel governo da lui sdoganato. Ne è conferma la scelta di non presentare “Italia Viva” in nessuna tornata elettorale fino al 2023: il tempo che serve a capire se Calenda e Toti sbarcheranno davvero al centro e ricavarsi un proprio angolo di consenso.