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Televisione, la critica involontaria di “Techetechetè”

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Techetechetè riesce a far rivivere artisti e sketch che hanno fatto la storia della Televisione ma, senza volerlo, esalta l’attuale piattume televisivo

A livello astronomico, quest’anno l’estate finisce il 23 settembre. Altro indizio palese del cambio di stagione è la modifica dei palinsesti televisivi. Tra repliche, film riciclati e contenitori estivi, a vincere è ancora lui: Techetechetè. L’enorme collage di sketch, performance, esibizioni e tutto ciò che concerne il panorama televisivo accumulato e custodito dalla Rai, è riuscito ancora una volta a farci ricordare come eravamo. Un’altra Italia, un’altra epoca e altri personaggi. Ora il programma è giunto al termine ma due in particolare sono gli aspetti su cui soffermarsi.

Uomini e donne secondo la Rai

Il merito di Techetechetè è quello di metterci a nudo di fronte alle macroscopiche differenze e le incredibili analogie tra ieri e oggi. Se puntate dedicate ad artiste del calibro di Monica Vitti, la sempiterna Mina o, per guardare ai giorni nostri, a Paola Cortellesi, ci fanno capire come il talento femminile non conosca limiti generazionali, è invece il tatto nei confronti delle donne ad essere decisamente cambiato. Presentatori ammiccanti, fisicamente invadenti e pieni di battute da bar che dagli anni ’50 sino ai 2000 strappavano una risata, rivisti adesso stonano leggermente. Non è la solita critica pretestuosa per raccogliere consensi, è solo una presa di coscienza su come i tempi mutino. Presentatrici e presentatori, performer e soubrette, sembrano avere approcci diversi rispetto al sesso opposto. Sì, la professionalità di chi rappresenta il servizio pubblico è sempre la stessa ma la sostanza è cambiata. Qui sta la prima grande funzione antropologica di Techetechetè: comparare l’evoluzione di usi e costumi di chi la Televisione la faceva e la fa. Chissà se gli autori si erano posti questo obiettivo.

Sos Satira

Sono due le puntate che più hanno fatto intuire come un popolo di spettatori sia cambiato, forse in peggio. Gli episodi dedicati al trio Marchesini-Lopez-Solenghi ed ai fratelli Guzzanti. Comicità diverse ma geniali allo stesso modo. Se i primi hanno impostato il loro stile su parodie surreali e personaggi sopra le righe ma mai volgari, i secondi hanno fatto della satira feroce – quella vera – il loro marchio di fabbrica. Modi diversi di pensare e far pensare la gente. Ridere prendendo in giro la televisione stessa: questo era il trio. Prendere in giro ridendo di politici, giornalisti e grandi guru del panorama artistico italiano: copyright Guzzantis. Qui sta l’altra grande differenza tra la Rai ed il suo vecchio pubblico con il panorama attuale. Il pubblico segue la tv e quest’ultima segue i gusti del pubblico. Sono le leggi del mercato che ci dicono che la gente non ha più voglia di satira e di quell’umorismo cinico che aiutava a formare una coscienza critica.

Meglio prima?

Quella del “si stava meglio quando si stava peggio” e del “Ai miei tempi era tutto più bello” è una tassa da pagare o imporre a qualsiasi età. Neanche i gusti televisivi hanno scampo. In un’Italia che ha fatto del savoir faire nazional-popolare e della Democrazia Cristiana i propri cardini culturali, la Rai, che di questi valori è un po’ figlia, stride con un nuovo sottobosco televisivo e virtuale che fa dell’apertura mentale il proprio mantra. Non bastano fiction di qualità e la grande opera di divulgazione scientifica della famiglia Angela: ci vuole di più, nonostante l’audience imponga dei paletti. Ci vuole più coraggio e la voglia di rinnovarsi. Lo stesso è richiesto dall’altra parte, dove Mediaset asseconda troppo gli istinti popolari. Gli archivi Rai grondano di materiale storico che assicurerà almeno un altro secolo di puntate per Techetechetè. Il problema sarà capire con cosa riempirle dopo: all’orizzonte non c’è il nulla ma niente di speciale.

Luca Villari

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