È inquietante come sempre più spesso, quando si verifica un cruento fatto di cronaca nera, capiti che a scioccarci non sia solo l’ evento tragico e criminoso in sé, bensì quello che accade dopo che il fatto è stato commesso, vale a dire in ambito legale e processuale, momento in cui uno Stato civile dovrebbe infliggere una pena che – oltre ad andare nella direzione della finalità rieducativa del colpevole – dovrebbe anche avere la funzione di risarcire – per quanto possibile – chi di quel crimine è stato vittima, nonché di tutelare la dignità dei suoi cari, tenendo conto del dolore che può provare chi, a causa di quel crimine, ha perso per sempre qualcosa di veramente importante, di unico.
La notizia che è arrivata da Napoli pochi giorni fa non sembra per niente andare in questa direzione, tutt’altro.
Ad un detenuto del Carcere minorile di Airola (BN) è stato concesso di uscire temporaneamente dall’istituto al fine di festeggiare, con fidanzata, amici e parenti, il proprio diciottesimo compleanno.
Già detta così, la cosa desterebbe non poca perplessità. Perplessità che subito diviene sbigottimento, nel momento in cui si scopre che colui che ha usufruito di questo permesso non è un detenuto qualsiasi.
Si tratta infatti di uno dei tre balordi che nel marzo dello scorso anno ammazzarono, a Napoli, Francesco Della Corte, una Guardia giurata che stava ultimando il suo turno di lavoro presso l’ uscita della metropolitana di Piscinola.
Lo attaccarono alle spalle, lo massacrarono utilizzando due piedi di un tavolo trovati per terra, lo colpirono ripetutamente, senza pietà. Non si fermarono neanche nel momento in cui l’ uomo era a terra, insanguinato e agonizzante.
Pare che l’ intenzione dei tre assassini fosse quella di sottrarre alla Guardia la sua pistola.
Della Corte morì in ospedale dopo 10 giorni di agonia, lasciando la moglie e due figli, Marta e Giuseppe. Il dolore, la rabbia, la frustrazione che questi ultimi possano aver provato nell’apprendere che chi solo un anno prima gli aveva portato via in modo così orrendo, crudele e immotivato il loro papà, aveva avuto l’ opportunità di beneficiare di una festa di compleanno all’esterno del carcere possiamo solo lontanamente immaginarlo. Un dolore atroce, che si è acuito ancor di più nel momento in cui sono addirittura comparse sui social foto di quella festa, attraverso le quali Marta e Giuseppe Della Corte si sono visti costretti a guardare l’ assassino del padre sorridente in compagnia degli amici, mentre bacia una ragazza.
Queste le parole di Marta:” A chi gli ha accordato il permesso mi permetto di ricordare che di recente ho compiuto 22 anni ma non ho spento candeline e non ho avuto torte e regali. E lo sa perché? Perché chi oggi festeggia ha ucciso mio padre, la persona più importante della mia vita”.
Il Ministro della Giustizia Bonafede ha incaricato l’ Ispettorato del Ministero al fine di fare chiarezza circa le motivazioni che possano aver portato alla decisione di concedere un simile permesso a chi, solo pochi mesi fa, è stato condannato in primo grado dal Tribunale Minorile di Napoli Nord per omicidio volontario con aggravante della crudeltà.
A prescindere dalle indagini che avranno luogo resta comunque estremamente difficile immaginare una valida spiegazione di una concessione che ha del surreale. Una concessione che in un colpo solo umilia la memoria di Della Corte e calpesta la dignità della sua famiglia.
Intanto, tra pochi giorni – il 19 settembre – si terrà il processo d’ appello.
La speranza è che, almeno in quell’occasione, la giustizia italiana possa recuperare un minimo di credibilità.