Quando le arti visive e l’antropologia si incontrano al museo e al cinema : il caso “Anthropocene”
La mostra “Anthropocene” a Bologna
Avrebbe dovuto concludersi il 22 settembre negli spazi del MAST (Manifattura di Arti, Sperimentazioni e Tecnologia) di Bologna la mostra “Anthropocene”, ma il suo grande successo ha reso possibile una proroga fino al 5 gennaio 2020. Articolata in un percorso multimediale, l’esposizione – inaugurata il 16 maggio 2019 – è riuscita a creare uno straordinario dialogo tra arti visive, scienze ambientali ed antropologia grazie alle fotografie di Edward Burtynsky ed alle videoinstallazioni in HD di Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier. Questo progetto artistico – portato avanti per la lunghezza di dieci anni dai ricercatori dell’Anthropocene Working Group – ha dato origine ad uno stretto legame fra il linguaggio visivo della fotografia, quello audiovisivo del cinema documentario e quello immersivo delle più recenti tecnologie legate alla realtà aumentata, al fine di indagare su alcuni comportamenti della specie umana ed il loro conseguente impatto sulla Terra. La mostra è stata affiancata dalla proiezione del film documentario “Anthropocene The Human Epoch”.
Il documentario “Anthropocene The Human Epoch”
Diretto dagli stessi autori delle fotografie e delle videoinstallazioni della mostra, il film ha debuttato lo scorso settembre al TIFF (Toronto International Film Festival). Questo documentario dall’immensa potenza fotografica, riprende direttamente le stesse tematiche affrontate dalle fotografie della mostra, narrate dalla voce di Alicia Vikander. Questa scelta deriva dalla volontà degli autori di aumentare la consapevolezza sullo sfruttamento delle risorse terrestri ad un pubblico più ampio. Infatti, a partire dal 19 settembre il documentario approderà sugli schermi cinematografici. Gli autori concludono così la loro trilogia documentaria a tematica ambientale che comprende il documentario Manufactured Landscapes (2006) e Watermark (2013).
Un viaggio nei sei continenti
È così che la macchina da presa si sposta nei sei continenti cercando di essere il più sincera possibile con gli spettatori, mostrando loro i luoghi di provenienza e le modalità di estrazione degli oggetti di fanno ampio utilizzo quotidianamente. Basti pensare agli stagni artificiali nel deserto di Atacama in cui viene trattato il litio, elemento indispensabile per le batterie dei nostri telefonini. Possono essere citate inoltre le cave del marmo di Carrara nella nostra Toscana, le miniere di nichel in Siberia e i siti di estrazione di potassio sui Monti Urali in Russia. Attraverso una struttura circolare il documentario tratta nelle prime e nelle ultime sequenze il problema della commercializzazione dell’avorio in alcune regioni dell’Africa. Questi sono solo alcuni esempi degli scenari che vengono raccontati dal progetto artistico a cui stiamo facendo riferimento, ma i problemi legati all’impatto negativo dell’attività umana sul nostro pianeta sono innumerevoli. Ad ogni modo gli autori non hanno alcuna pretesa di predicare quali comportamenti siano giusti e quali sbagliati nei confronti della Terra. L’obiettivo principale è infatti quello di sfruttare i mezzi di informazione più sofisticati per raccontare un aspetto allarmante della contemporaneità. Sono immagini che parlano da sole agli occhi increduli degli spettatori, chiamati a prendere coscienza sullo sfruttamento delle risorse naturali da parte dell’uomo e sulla sua conseguente ed irreversibile incidenza sui cambiamenti ambientali.