Dopo uno stop tecnico riprendiamo il nostro appuntamento con “La settimana politica”. E che ripresa:in piena crisi di governo e non solo.
Lo strappo definitivo di Conte: è crisi di governo
La politica regala dei risvegli entusiasmanti. Quello di ieri ad esempio ci porta dritti dentro una crisi di governo in piena estate. Lo strappo di Conte sul voto di fiducia sul decreto “Aiuti” in Senato ha portato alle dimissioni di Mario Draghi che aveva più volte fatto sapere che senza i Cinque Stelle non sarebbe continuata l’azione di governo,
Fra i motivi di questa crisi di governo c’è il decreto Aiuti che, secondo Conte, contiene provvedimenti inaccettabili per i Cinque Stelle. Fra questi il via libera alla costruzione di un termovalorizzatore a Roma: vero e proprio affronto per il partito di Conte che della lotta agli inceneritori ha fatto una battaglia politica.
I tentativi di evitare la crisi di governo ci sono stati. Nelle scorse settimane infatti Draghi e Conte si sono scritti e parlati tanto da fare sembrare tutto risolto. Alla prova del voto però la riconciliazione non regge.
Una crisi di governo che è anche politica
Siamo al terzo governo della legislatura sostenuto dall’ultima maggioranza possibile in questo Parlamento. Il quadro politico nelle mani di Mattarella è davvero complicato: è infatti impossibile che si trovi una nuova maggioranza in grado di portare il Paese alle elezioni del 2023.
Senza considerare poi come la crisi di governo in atto cancella di fatto il futuro campo largo fra PD e Cinque Stelle a cui stava lavorando Letta in vista delle elezioni del prossimo anno. Come fanno notare molti esponenti del PD: lo strappo di Conte cancella ogni possibile accordo futuro.
Quindi che fare…
La matassa adesso è al Quirinale dove Mattarella si trova davanti un ristretto ventaglio di possibilità. Come dicevamo questa è la terza crisi di governo di una legislatura nella quale hanno governato tutti al di fuori di Fratelli d’Italia. È quindi impossibile inventare una quarta maggioranza che a questo punto dovrebbe escludere Conte. Potrebbe essere questo il motivo del congelamento delle dimissioni e della richiesta di portare la questione in Parlamento mercoledì prossimo.
Una richiesta non proprio lineare se si considera come in realtà, il governo Draghi, abbia incassato la fiducia in Senato pur senza i Cinque Stelle. Formalmente non si vede quindi il motivo per cui Draghi debba tornare in Parlamento la settimana prossima; ci può essere un motivo politico: prendere tempo nella speranza che Draghi ci ripensai.
Le dichiarazioni che partono dalla Destra sembrano però escludere un Draghi bis avvicinando sempre di più il voto anticipato.
Smitizzare Mario Draghi per comprendere la crisi
C’è un elemento che va tolto dal campo per comprendere la crisi di governo. Mario Draghi non è una figura mitologica inviolabile; è un politico italiano a cui le forze politiche hanno il diritto e il dovere di porre questioni.
Esattamente come ogni altro Presidente del Consiglio, anche Draghi può subire strappi e crisi di governo. La politica è anche questa: starà agli elettori valutare le posizioni delle forze politiche. È vero che la condizione sociale e internazionale è quella che è, ma alla politica non si comanda.
Mattia Santori sbaglia tutto. La Cannabis legale sì ma c’è modo e modo
È da tempo che non parliamo di Mattia Santori: da quando si accampò con una canadese nell’atrio della sede nazionale del Partito Democratico.
Da allora di cose ne sono accadute. Santori si è candidato per il consiglio comunale di Bologna nella lista del PD, ha fatto la campagna elettorale da un eremo ed è stato eletto svestendo i panni di leader delle Sardine.
La mancanza di formazione politica però si vede tutta. La si vede quando, per sostenere l’approvazione di una legge che renda legale la Cannabis, Santori dichiara di consumarla e coltivarla.
Dichiarazione sprovveduta che ha subito scaldato la temperatura politica a Bologna. Non poteva che essere così considerato l’atteggiamento di Santori che, dimenticando di avere una carica pubblica e un partito di riferimento, si comporta da attivista della società civile.
Sappiamo bene che esiste la disobbedienza civile come strumento politico ma dipende chi la compie. Se a vantarsi di violare una legge è un membro di un’istituzione è fisiologico che scateni polemiche. E se l’intento della disubbidienza civile è quello di accendere i riflettori su un tema, non è sicuramente la scelta migliore.
Santori voleva alimentare il bibattito sulla Cannabis? Avrebbe potuto usare gli strumenti del consigliere comunale; avrebbe potuto innescare una discussione all’interno del partito che lo ha candidato oppure fare una dichiarazione che non contenesse un reato.
Tutto questo però Santori lo ignora: non per colpa sua ma perchè nessuno gli ha spiegato qual’è la differenza fra essere un leader di piazza ed essere un consigliere comunale.
Il problema quindi non è solo Mattia Santori che sbaglia i modi, ma è anche l’assenza di formazione di chi deve rappresentare partiti politici nelle istituzioni. Non è un problema individuale: è un problema collettivo di sistema.