Siamo alle porte del 25 aprile, la festa della Liberazione, e anche quest’anno non poteva mancare la polemica. Al centro del contendere è ANPI, l’Associazione dei Partigiani, che sulla guerra in Ucraina si è dichiarata contraria all’invio di armi da parte dell’Italia.
In questa settimana politica ho deciso di provare ad esprimere qual’è la mia opinione sulla posizione di ANPI. Si sono lette tante cose in queste settimane di guerra: alcune pertinenti e altre abbondantemente pretestuose.
ANPI: la pace come memoria applicata
La contestazione più rilevante sollevata all’ANPI sul fronte della guerra in Ucraina è la sua posizione pacifista contro il contributo armato che l’Italia sta dando a questa guerra. Molti osservatori descrivono la posizione assunta da ANPI come una sorta di ignavia nei confronti di ciò che sta accadendo in Ucraina: né con Putin né con Zelensky si sintetizza brutalmente a volte.
In realtà se si procede a ritroso nel tempo sino allo scoppio di questa guerra si scopre che ANPI prese immediatamente posizione in solidarietà con il popolo ucraino. Quello che sostiene è come, contribuire ad infiammare il conflitto sul fronte bellico, porti nella direzione opposta a quella della pace. È la posizione più coerente che potesse esprimere ANPI: sia per i valori che incarna sia per il ruolo di memoria che porta sulle spalle.
Avere memoria significa anche usarla perchè certe realtà non accadano di nuovo; se per caso si credesse che la memoria sia solo qualcosa per riempire i discorsi e non per bloccare sul nascere altre tragedie, avremo sempre memorie da celebrare. Armare un popolo significa privarsi della possibilità di interpretare il ruolo di mediatori; significa accettare la logica della guerra che vede per forza un vincitore e un vinto, sempre, senza eccezioni.
L’accusa priva di memoria
Anche il tentativo di toccare ANPI sul vivo è piuttosto maldestro. È vero che la resistenza partigiana fu armata ma, fare un parallelismo fra allora e oggi, significa non avere interiorizzato i valori che quella esperienza ci ha portato e che oggi dobbiamo difendere; significa non considerare le differenze storiche intercorse. La pace non si fa dando linfa a una guerra ma smorzandola. A meno che non si creda come la pace sia il pretesto per muovere guerra; ma vorrebbe dire non avere memoria se non in occasione delle orazioni ufficiali.
È certamente una scelta difficile pensare a una via diplomatica quando non sembrano voler cessare i bombardamenti; tuttavia è indispensabile che qualcuno si sottragga all’interventismo per ricoprire un ruolo mediatore. Incentivando la guerra si avvicina sempre di più la soluzione più drammatica certamente non senza conseguenze, ovvero la vittoria di uno sull’altro. L’esatto opposto del principio di prosperità che l’Italia si è data contribuendo a fondare l’Unione Europea.