Se dovessi parlare del Natale, lo farei in veste di bambina.
Desideri, sogni, divertimento e spensieratezza sono stati gli elementi cardine della mia infanzia. Quel periodo dell’anno, in particolare, fu per me colmo di una magia che, forse, solo io potevo e posso capire. Mi sono sempre sentita particolare, per mille motivi.
Amavo respirare l’odore del muschio del presepe, avvolto dalle calde luci che animavano le statuine antiche della nonna, il fiume in carta stagnola che mi faceva lontanamente sentire lo scroscio dell’acqua e immaginare ogni dettaglio ‘’vivente’’ di una Betlemme idealizzata.
Canticchiavo le canzoni imparate a scuola per rafforzarne il sogno. Era tutto perfetto.
Ho sempre vissuto in un mondo tutto mio, in cui potevo inventarmi storie di ogni tipo, soprattutto durante le notti passate ad osservarla minuziosamente.
Coinvolgevo tutti i miei cugini nelle mie storie tanto che, organizzammo un trenino in scala dal più piccolo al più grande, per portare insieme il bambinello nella capanna e farlo vedere a tutta la nostra famiglia.
Per me il Natale fu simbolo dei momenti di ricongiunzione, di quel calore innocente visto dai miei occhi privi di ogni esperienza.
Crescendo notai dei cambiamenti, come se oltre il mio corpo iniziassero a cambiare i pensieri, le visioni e il mondo circostante. Non ero io a voler cambiare, fu imposto. Iniziai a vedere queste festività come un involucro che non mi apparteneva più, un vestito ormai stretto.
Saranno stati gli episodi spiacevoli, sarà stata la perdita delle persone a me care, non so, ma cambiò tutto. In effetti da adolescente non riuscivo a distinguere la realtà dal mondo immaginario, sin quando gli episodi tristi e spiacevoli si presentarono a doppio colpo sul mio petto.
Non ebbi un’adolescenza facile: la scuola, gli amici, gli amori sbagliati, cercavo fughe di ogni tipo cadendo nel baratro dei miei stessi incubi.
Vivevo in un mondo totalmente surreale, spesso mi sentivo assente e non ero per niente consapevole di ciò che mi stava accadendo.
La notte vedevo così sfumare i miei sogni, i miei ricordi e mi riaddormentavo consolandomi del fatto che fosse tutto passato in fretta. Iniziai a percepire il Natale come un periodo di vuoto e solitudine, pian piano allontanai tutti, mi sentii come una catena spezzata. Ho cominciato ad essere più razionale, più consapevole e mi sono obbligata ad alimentare la mia conoscenza come se fosse un bambino malnutrito.
Avevo i tipici dubbi esistenziali, insicurezze di ogni tipo e iniziai ad approfondire la mia spiritualità, con la speranza di capire realmente chi fossi, mettendomi in gioco su ogni fronte religioso ed etico. Forse anche questo ha pian piano plasmato la mia visione natalizia.
Oggi ho le idee chiare, ma non ancora col Natale: quei giorni che ormai reputo superficiali, in cui quelle luci e quelle decorazioni che tanto adoravo, ora mi infastidiscono, mi agitano, mi danno quel senso di vuoto e di disordine mentale. Ancora una volta divento surreale, il Natale come un vestito, un involucro buffo privo di forma.
Cresciuta con pane ed arte, la mia vita si è solo e sempre basata su di essa. Un ”dono” (oh quanto odio questa parola!), o meglio, la capacità ossessiva compulsiva di esprimermi. Ovviamente il Natale era presente, anche se con sembianze alquanto bizzarre. Ma era lì, pronta a salvarmi dalle mie insicurezze.
”Ciò che non mi denuda è l’Arte l’unica che mi ha salvato, e forse, mi salva ancora”.
L’Arte è sempre stata la mia ancora di salvezza, il mio posto felice. A volte mi sentivo tradita anche da essa, o forse, da me stessa. Provo amore e odio ma nient’altro mi avrebbe contraddistinta. Mi sono fatta delle promesse, anche scritte, e non so se riuscirò mai a mantenerle, pian piano vanno sfumando solo perché non riesco a concretizzare i miei desideri. Adesso.
Quelle insicurezze plasmate costantemente, da superare, in cui quella ”macchia nera della negatività” urta le pareti del mio essere, facendomi impazzire nel non trovare soluzioni. Oscillare come un pendolo tra il dare tanto e il non dare nulla, dal narcisismo cruento alla condivisione con gli altri. Mi ritrovo sempre su un ponte, in bilico, tra le sfumature delle mie giornate. Vedo la mia vita come un dipinto. E non tutti i dipinti sono perfetti, non tutti sono finiti e non tutti sono così limpidi. Non sappiamo mai il pittore cosa ci abbia disegnato al di sotto.
Colma di sogni e desideri cerco di scavalcare la Luna, ma forse ce la farò, forse sarà proprio a Natale, quell’involucro plasmato dalla mia mente.
a cura di
Antonella Vigorito
LEGGI ANCHE- La malattia mentale nell’arte e il suo stereotipo: da Ligabue a Chiara Fumai